Terzo lungometraggio per Jan-Willem van Ewijk, (ne ha un quarto in post produzione), Alpha. è un thriller psicologico di altissima tensione. Il regista olandese concentra lo sguardo sul mondo maschile e sugli antagonismi che nascono per affermare la personalità. Il campo si stringe e diventa scarnificante quando a scontrarsi sono padre e figlio: Gijs e Rein (tali anche nella vita reale, gli attori Gijs e Reinout Scholten van Aschat). Rein dopo la morte della madre abbandona tutto per ricostruire la sua vita dal dolore del lutto, lontano dal suo recente passato. Adesso è maestro di snowboard in una località delle Alpi, la cui magnifica presenza, tremenda e affascinante, prende il sopravvento imponendosi sin dalle prime maestose immagini. Una telefonata lo avverte della visita del padre. Il giovane è sorpreso, ma non può ignorarne per sempre l’esistenza eliminandolo dalla sua vita. Il percorso di solidale sostegno che ci si può immaginare come logica conseguenza del tragico evento di un lutto, non è così scontato e non porta a chiarimenti risolutori. La loro è una relazione ormai segnata da sospetti e dissapori, rimproveri e sensi di colpa, accuse e attriti.

Ciononostante, Rein accoglie il padre nel minuscolo appartamento che abita condividendo spazio e tempo, sempre più occupati da un padre ingombrante. L’uomo ama mostrare il suo fascino prestante, in ogni occasione e con tutti; cerca di sedurre persino la giovane cameriera provocando il fastidio di Rein. L’atteggiamento del padre, del resto, non è insolito. Già in passato aveva cagionato tanta inquietudine e turbamento alla moglie e all’intera famiglia. La competizione è aperta e si sposta sul piano delle amicizie di Rein. Gijs vuole affermarsi anche tra loro. Flirta con Laura, la ragazza di Rein, e con l’altra giovane amica. La contesa passa dal piano affettivo a quello fisico. La tranquilla escursione del gruppo sulla neve diventa il ring dove aprire veementemente le ostilità, chiarire i ruoli, mettere limite a spazi e pretese, punire sbagli compiuti e in atto, risolvendo definitivamente un rapporto conflittuale di cui non si vedono orizzonti di espiazione. La prova diventa una lotta per la sopravvivenza e per stabilire chi è il maschio alpha.

Jan-Willem van Ewijk sceglie uno stile essenziale, scarno. La fotografia predilige i piani per descrivere introspettivamente i protagonisti, spesso posizionati in primo piano di spalla e con pochissimi incroci di sguardo, a sottolineare il conflitto e l’incapacità comunicativa. I campi sono invece riservati alla potenza della natura e delle sue montagne, con i massicci rocciosi aspri e solidi che svettano dal pacifico manto bianco della neve. I dialoghi sono essenziali e seguiti da lunghi silenzi in cui prevale una colonna sonora che esalta la trepidazione del thriller psicologico. Il regista sceglie la proporzione dell’inquadratura 1:1. Il quadro è spesso diviso in due da una perfetta perpendicolarità, dell’azzurro del cielo e del bianco della neve, della luce e della foschia, della pendenza ripida e priva della dolcezza dei piani. Il santuario della montagna si presenta spesso come l’antro della sibilla con i suoi presagi.

Alpha.
Alpha.

Alpha.

(Douwe Hennink)

van Ewijk esplora il mondo delle relazioni famigliari e lo fa con l’occhio dell’etologo che avvicina letteralmente le sue lenti ai soggetti osservati per documentarne comportamenti e reazioni. Ne viene fuori la descrizione di due caratteri forti che vogliono affermarsi l’uno sull’altro; il padre, continuando a mantenere la sua qualità di figura di riferimento che nonostante la perdita della donna vuole esibire la capacità di conquista; e il figlio, che chiede di liberarsi da un dominio sgradito per mostrare maturità, assertività e fermezza. Due maschi alpha dalla solida caratura personale che rischiano di scivolare nel narcisismo o di imboccare percorsi pericolosi e senza ritorno, sorprendenti come quelli con cui sa cogliere e stupire la montagna se la si vuole sfidare.

Ed è proprio la montagna, nello specifico le Alpi svizzere, il terzo protagonista di questo film che si impone con la magnificenza della sua natura alla modestia di quella umana. La montagna è misura delle capacità dell’uomo. Ispira a prove di coraggio, alla determinazione per la sopravvivenza; con la solidarietà della cordata, suggerisce il bisogno dell’altro, dello stare “legati” per sovvenire all’occorrenza; è richiamo della grandezza quasi divina, ma è misura dell’effettiva piccolezza umana. Su un monte si consuma la vicenda dei due confliggenti, richiamando l’esordio di un mito universale che narra della lotta di un genitore e del suo erede sino alla fine inesorabile di uno dei due. Il mito di Laio e di Edipo ritorna in scena.

Qui è la natura a mettere alla prova il valore umano dei due protagonisti. Tutto rimane dentro le righe di un realismo che non scade mai in “illustrazionismi” gratuiti. Allo spettatore è richiesta un’attenzione speciale, oltre le righe, capace di sostenere la tensione che lo coinvolge sin dall’inizio della narrazione, e che suscita il desiderio di interpretare e valutare lo spessore di una storia di predominio maschile.