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Alla mia piccola Sama
Aleppo, 2017. Sama ha quasi un anno di vita. I suoi occhi felici si fissano sugli occhi della madre, le sue braccia quasi inermi si arrampicano sulle spalle del padre. È nata ad Aleppo, durante l’assedio: suo padre Hamza è medico, sua madre Waad al-Kateab è giornalista. La stessa che ha diretto insieme a Edward Watts For Sama, una “lettera d’amore” che è diventata ora un toccante documentario, vincitore di numerosi premi tra i quali l’EFA, l’Oscar Europeo.
Sama è la vita che dà sapore alle esistenze dei genitori in una città che è sotto assedio dal 2012. Un anno importante perché è l’anno in cui Waad al-Kateab si trasferisce per studiare Marketing all’Università. Waad filma tutto quello che vede: Bashar Al-Assad ha iniziato la sua politica oppressiva e gli universitari non vogliono rimanere fermi a osservare, a subire. Protestano, vogliono una società più libera e presto si scontrano con una polizia dai metodi autoritari e con un regime che diventa sempre più duro.
Lo spazio per la ribellione diventa uno spazio non più libero e accessibile ai civili. Il presente, con la sua pesante verità, inizia il suo lento cammino di distruzione. Waad sta filmando tutto. Il mondo deve sapere quello che succede in Siria. Con una costruzione temporale mai lineare, ma pienamente funzionale alla realtà, la regista e protagonista inizia a raccontarsi. Durante le proteste conosce Hamza, un giovane medico che insieme alla sua equipe compie il suo difficile dovere quotidiano: “In 20 giorni - racconta Hamza - abbiamo effettuato 820 operazioni e sono arrivate oltre 6000 persone che avevano bisogno di essere salvate”. Hamza dovrebbe andare via, sposarsi con una donna che vive lontano da Aleppo, ma decide di restare. Sa che Waad è ormai diventata una persona importante nella sua vita.
Il sì di Waad al matrimonio, l’arrivo di Sama, la decisione di rimanere ad Aleppo, nella città che dal 2012 non ha più strade, non ha più tetti, non ha più un palazzo senza rovine. Quel sì iniziale di Waad diventa racconto necessario e quotidiano per Sama. Le bombe che uccidono i civili, i corpi sepolti nelle fosse comuni, il fango che sporca le strade, le lacrime che solcano i visi: la macchina a mano e i droni nelle strade riprendono tutto. Le distanze si assottigliano e quel fumo, quel rumore assordante, quella paura smettono di essere personali e diventano collettive. Il futuro di Sama non può essere costruito senza la conoscenza del suo passato.
Arriva un momento, poi, in cui l’uomo smette di essere uno spettatore e diviene una persona, un fratello, un amico. Non si possono chiudere gli occhi. Sama siamo tutti noi che non dobbiamo assistere e dimenticare. Soprattutto quando arriva quella donna in ospedale e una mano salda riesce a riprenderla: ha perso i sensi per una grave ferita e occorre estrarre il neonato che ha in grembo. Saranno pochi minuti, ma quelle immagini portano con sé tutta la crudeltà dell’uomo che stermina l’uomo e tutta la grandezza dell’uomo che salva la vita.