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“Alida, come sei bella”, parafrasando il poeta apparentemente più lontano dalla figura della Valli, così altera e aristocratica sulla superficie di uno splendore regale e invece (pure) umanissima e popolare. Se c’è una cosa che viene da dire subito e spontaneamente, sin dalle prime immagini che la ritraggono giovanissima e ammaliante, è proprio questa: Alida, come sei bella. E anche: Alida, come sei bello.
Selezionato da Cannes 2020, Alida è un documentario prezioso per tanti motivi, tappa decisiva per il regista Mimmo Verdesca che nell’ultimo dieci anni si è affermato quale attento esploratore dell’immaginario italiano, archeologo del cinema del passato, divulgatore appassionato di un’età dell’oro i cui testimoni sono ormai quasi tutti scomparsi.
Frutto di un lungo lavoro di ricognizione, Alida parte dalle lettere della diva, conservate e ritrovate post mortem: attraverso la voce di Giovanna Mezzogiorno (che con la Valli condivide una certa, tormentata fierezza d’animo) si ricostruisce “in prima persona” una vita fuori dall’ordinario, quella di una delle attrici più importanti e dimenticate della nostra storia.
Importante perché ha percorso oltre sessant’anni di cinema internazionale, dai telefoni bianchi ai giovani autori post sessantottini passando per i maestri del dopoguerra, con raro spirito d’adattamento e perpetua ricerca di maturità espressiva. Dimenticata perché attrice di frontiera, impossibile da incasellare, refrattaria alle etichette. Capace di una recitazione modernissima con uno stile assolutamente personale, che oggi impressiona per come si distingue con quella delle colleghe coeve: un incredibile equilibrio di realismo e stilizzazione, passionalità e ragione, metodo e follia.
Nata nella Pola italiana nel 1921 (il prossimo anno ricorre il centenario dalla nascita), dunque ritrovatasi da adulta senza patria e cittadina del mondo, Alida Valli nata Altenburger von Marckenstein und Frauenberg si racconta tra lavoro e privato, in lettere destinate specialmente alla mamma e ai due figli avuti da Oscar de Mejo: nell’andamento cronologico dei ricordi traspare una capacità d’autoanalisi lucidissima, con le reticenze non contemplate e l’onestà fondamentale per intercettare l’anima dell’antidiva.
Verdesca – che ha lavorato insieme a Pierpaolo de Mejo, nipote di Alida in quanto figlio di Carlo – si è avvalso di tantissimi materiali d’archivio e ha costruito un ritratto che restituisce la complessità di un’icona misteriosa, toccando (pur lateralmente) anche l’affaire Wilma Montesi in cui rimase coinvolto Piero Picconi, allora suo compagno, nonché allusioni a qualche difficoltà economica sin dagli anni Cinquanta.
Il pezzo forte di Alida sta nel parterre di testimoni eccellenti: da Bernardo Bertolucci (che la recuperò in Strategia del ragno, uno dei film preferiti dalla Valli, commosso forse anche perché molto legata al fratello Giuseppe, di cui divenne attrice feticcio) a Dario Argento (la diresse con complicità in Suspiria e Inferno) passando per Charlotte Rampling, Roberto Benigni, Thierry Fremaux, Margarethe von Trotta, Felice Laudadio, Marco Tullio Giordana, Maurizio Ponzi. Più rari gli interventi di Carla Gravina (che non appare da decenni, e infatti ne sentiamo solo la voce), dell’ultranovantenne Tatiana Farnese compianti Piero Tosi, Lilia Silvi. Mariù Pascoli (fu sua figlia in Piccolo mondo antico). Tutti centrati, tutti innamorati: Alida, come sei bella.