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Il tema dell'innocenza violata ritorna in un altro film proveniente dall'America Latina. Dopo lo shock della prostituzione minorile nel messicano Les Elegidas, arriva il duro spaccato colombiano di Alias Marìa, sulla brutale situazione delle donne e dei bambini soldato nelle Farc.
Il film di Jose Luis Rugeles merita anzitutto attenzione per quello che racconta, descrivendo con piglio veristico una realtà rimasta finora fuori dai radar del cinema. La mobilissima camera digitale di Rugeles s'infiltra in una divisione di guerriglieri che vive in un accampamento nascosto nella foresta. Si tratta in effetti di un villaggio militarizzato, dove ciascuno svolge un ruolo preciso: ci sono dottori, cuoche e, naturalmente, combattenti. Di quest'ultimi ne possono far parte sia donne che bambini. E' il caso della Maria del titolo (Karen Torres), che non avrà più di 14 anni.
Diventare guerriglieri è la massima aspirazione per i piccoli neofiti delle Farc, come il giovanissimo Yuldor (Erik Ruiz), ma è anche la loro condanna: significa rinunciare a giocare per gli uni, diventare madri per le altre. Un atto contro natura. Una guerrigiliera non partorisce. Le gravidanze vengono tutte interrotte perché, come dice il dottore del campo con meschina ipocrisia, "non si può lasciare che la giungla si riempia di bambini". Come se fosse questa l'ipotesi più immorale. La regola vale per tutti, tranne che per la compagna del comandante di brigata, cui viene concesso di tenere il bambino. Un'eccezione che darà da pensare alla giovane Maria, scopertasi nel frattempo in stato interessante...
Rugeles non molla mai la sua giovane eroina, pedinandola e lavorando perché il suo calvario diventi anche il nostro: Alias Marìa è un'esperienza di visione opprimente, con le sue inquadrature strettissime, le immagini desaturate e morse dall'afa, il ronzìo degli insetti, le colonie di vermi, le gocce di sudore, il fango misto a sangue, il sangue misto a latte. Un habitat di viscere e regole, un posto non da bambini, che però ci sono, ci guardano e scambiano atrocità e coraggio.
Come è diventata sordida e violenta questa America del Sud, sotto il suo cielo si consuma di tutto, ogni tabù è caduto, la pietà cancellata, il limite spostato ancora più in là e oltre la decenza. Lo sguardo registra, impotente e impassibile. C'è anche l'esecuzione di un bambino.
Questo nuovo neorealismo latino ha la mano pesante, non si ferma davanti a nulla. Il suo segno più forte è lo stacco di montaggio: brusco, repentino, secco. Come uno strappo, una lacerazione nel tessuto del mondo. Che si amplifica, dalla drammaturgia alla colonna sonora: un calcio in faccia segue all'amore, il crepitio delle pallottole subentra a delicati accordi di piano. Nel nome della testimonianza. Ma non per tutti.