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AKA © Nicolas Auproux
Dopo anni in giro per il mondo a camuffarsi dietro varie identità, Adam Franco (Alban Lenoir) viene richiamato in Francia per sistemare una questione di massima urgenza: rintracciare e neutralizzare il sudanese Moktar Al Tayeb (Kevin Layne) sospettato di far parte di un'organizzazione terroristica e prossimo, parrebbe, a sferrare un imminente attacco a Parigi. Per farlo, Adam si infiltra nel giro del potente boss Victor Pastore (Eric Cantona), uomo molto vicino ad Al Tayeb.
Disponibile su Netflix, AKA di Morgan S. Dalibert - che ritrova Alban Lenoir dopo aver diretto la fotografia nel dittico Proiettile vagante di Guillaume Pierret - è un thriller muscolare e violento, un action tutto giocato sull'inverosimile indistruttibilità del suo protagonista, misterioso uomo dei servizi speciali (le cui doti impariamo a conoscere grazie ad uno spettacolare prologo in pianosequenza dentro una grotta di una regione desertica africana...) segnato da un evento in gioventù che ne ha segnato l'esistenza.
Dritto allo scopo, Adam dovrà entrare nelle grazie di Victor (un Cantona che ancora una volta sa riempire qualsiasi scena in cui è chiamato in causa) e per farlo userà le sue armi migliori a disposizione, stabilendo anche una sincera amicizia con il figlio di questi, un ragazzino avvolto dal lusso ma abbandonato a se stesso.
Intrattenimento di buon livello, il film dura più del dovuto (poco oltre le due ore) e chiede davvero troppo in termini di credibilità per quello che riguarda alcuni snodi (e conseguenti soluzioni): nonostante questo, però, sa farsi vedere, confermando la solita vitalità del cinema francese di genere, che proprio in Lenoir sembra aver trovato il personaggio simbolo da mandare in avanscoperta. Senza esclusione di colpi, con tanto di ovvie macchinazioni del potere istituzionale.