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Che i Marvel Studios con le Fasi post-Avengers Endgame stiano arrancando è davanti agli occhi di tutti. In un mondo magico, basterebbe un incantesimo per risolvere tutto. Kevin Feige e soci hanno pensato allora di affidarsi alle sapienti mani di Jac Schaeffer, che creò la prima serie Marvel per Disney+ in piena pandemia. Ci ritroviamo tre anni dopo a reboottare in un certo senso questo universo sempre più espanso prima al cinema con Deadpool & Wolverine, e ora in streaming con Agatha All Along.
Una serie che ha avuto svariate vicissitudini produttive, cambiando titolo più volte, a dimostrazione della difficoltà creativa che stanno incontrando coloro che fino a qualche anno fa erano stati maestri nel creare mondi fantastici in cui far perdere i fan nell’audiovisivo. Kathryn Hahn è di nuovo Agatha Harkness in questo sequel televisivo in nove episodi: la strega aminemica di Wanda Maximoff, oramai divenuta Scarlet Witch, è ancora intrappolata in quell’apparente incubo paradisiaco di Westview. O meglio Eastview in un primo episodio che riprende lo stile della serie originale, facendo chiaramente il verso al genere crime e a titoli come Omicidio a Easttown con Kate Winslet: Hahn utilizza tutto il proprio carisma e la propria presenza scenica per donare al suo alter ego detective quel tipico sarcasmo.
L’incontro con un apparente famiglio e una strega guerriera mette però fine a quella maledizione rendendo consapevole la nostra protagonista di quanto le sta accadendo, al punto da decidere di riprendersi tutto ciò che le spetta. Per farlo mette insieme controvoglia una Congrega in modo da poter attraversare la Strada delle Streghe, un percorso metafisico che attraverso una serie di prove ed ostacoli le faccia ottenere ciò che le manca. Siamo sicuri che siano i poteri?
Il serial prova infatti a riflettere sul vuoto che abbiamo dentro di noi e su come decidiamo di riempirlo. Dalla seconda puntata la Strada diventa il pretesto per Schaeffer per giocare con generi e archetipi narrativi, tanto a livello strutturale quanto visivo, tra costumi, fotografia e scenografie: non più sitcom e crime, ma diverse ere temporali - come le fattucchiere hippie degli anni ’60 - per raccontarci una sorta di romanzo di formazione di un gruppo di donne che cercano di ritrovare la propria identità. Non a caso la (meravigliosa) sigla mostra l’evoluzione della figura della strega nel corso dei secoli.
Agatha Harkness è ancora una volta egoista ed egocentrica, pensa solo al proprio tornaconto ma il confronto con la sorellanza femminile – un altro dei temi della serie – potrebbe farle aprire gli occhi. A rubarle la scena è il famiglio, Joe Locke, perfetto contraltare che sembra la Kamala Khan di Captain Marvel: un fanboy desideroso di imparare, mentre in agguato c’è la vendicativa ed affascinante strega di Aubrey Plaza. Entrambi – come la stessa Agatha – celano dei segreti ed è qui che la regia di Schaffer si fa sentire per creare qualcosa di davvero stregato, parlando anche del dolore della maternità.
La prima metà della serie promette molto bene, sembra ritrovare quella magia che ha reso WandaVision una delle migliori serie Marvel finora create ma allo stesso tempo il rischio della ricaduta nella seconda parte è dietro l’angolo. Noi però vogliamo crederci: il titolo riprende una battuta alla fine della serie originale, quindi non sarebbe perfetto poter dire “È stata Agatha tutto questo tempo” a chiusura di un altro successo della Casa delle Idee in tv?