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Dolores Dreier ha 21 anni. Ma la sua vita da normale adolescente non è più la stessa, da quasi 3 anni. A breve dovrà sostenere, come unica imputata, un processo per omicidio. La vittima era la sua migliore amica, brutalmente assassinata in un appartamento, dopo una festa.
Dopo Villegas, l’argentino Gonzalo Tobal dirige Acusada. Il tentativo è quello di far dialogare l’impianto legal thriller con le implicazioni mediatiche, familiari e quotidiane che ruotano intorno all’esistenza della presunta colpevole, interpretata da Lali Espósito.
Naturalmente, anche per lo spettatore, i pochi indizi conosciuti relativamente a quell’omicidio non possono che indirizzare verso la colpevolezza di Dolores: intanto il movente, visto che pochi giorni prima dell’assassinio di Camila, la stessa aveva divulgato un video hot dell’amica diventato poi virale. Poi la scena del crimine: dopo la festa, Dolores e Camila sono le uniche due persone rimaste in casa. La prima racconta di essersi svegliata in tarda mattinata, di aver visto l’amica dormire sul divano e di averla lasciata lì, addormentata, prima di uscire. Ma Camila non si è mai più svegliata, morta in un lago di sangue.
Tobal, è evidente, si preoccupa prima delle implicazioni psicologiche che un avvenimento del genere scatena. Riesce a creare un buon ritmo e la giusta tensione, si concentra come è ovvio sull’accusata del titolo, la cui vita - innocente o colpevole che sia, condannata o meno - sarà comunque stravolta per sempre.
E lo stesso vale per la sua famiglia, con il padre in prima linea (scopriremo poi anche fin troppo...) per difendere la figlia, per salvaguardarla dalla morbosità di un’opinione pubblica assetata di sangue e, allo stesso tempo, studiando insieme all’avvocato di famiglia la strategia difensiva per le varie fasi del processo.
La giustizia farà il suo corso. Ma basandosi su quali elementi? La riflessione di Tobal, tutto sommato neanche così inedita, conduce ad un finale che vuole essere paradossale e metaforico, ma che - allo stesso tempo - sfrutta con furbizia un cliffhanger che rimanda ad un indizio narrativo apparentemente accessorio, gettato in campo a metà percorso con la stessa leggerezza di una p(i)uma.
Peccato, però, che il lasso di tempo che separa l’omicidio da questa epifania conclusiva (minimo 3 anni) rende il tutto terribilmente inverosimile. Posticcio. Forzato. Medi(t)ato. Mediatico.