PHOTO
ACAB. Episode 101 of ACAB. Cr. Marco Ghidelli/Netflix © 2024
Tredici anni dopo ACAB - All Cops Are Bastards, film con cui Stefano Sollima esordiva alla regia di un lungometraggio dopo le fortune seriali di Romanzo criminale, arriva su Netflix da oggi, 15 gennaio, la variante in sei episodi diretti da Michele Alhaique: ideata da Carlo Bonini (autore dell’omonimo libro edito da Feltrinelli nel 2009) e Filippo Gravino, che la scrivono insieme a Elisa Dondi, Luca Giordano e Bernardo Pellegrini, con lo story editing dello stesso Gravino, ACAB – prodotta da Cattleya (parte di ITV Studios) con Sollima produttore esecutivo – mantiene con il sopracitato film un solo legame narrativo, quello relativo alla figura di Mazinga, interpretato da Marco Giallini, unico attore e personaggio “sopravvissuto” a quel racconto.
La serie – dedicata a Gianluca “Bomba” Bombardone, operatore cinematografico stroncato da un malore la scorsa estate su un set in Sardegna – ci getta immediatamente nel cuore di uno scontro che darà il via ad inevitabili ripercussioni: in Val di Susa i manifestanti No Tav feriscono Pietro Fura (Fabrizio Nardi), caposquadra del reparto mobile Roma. I colleghi non ci pensano due volte e quella carica indiscriminata finirà nell’occhio di un’indagine che, mediaticamente e umanamente, avrà strascichi decisivi.
“Alla fine c’è scritto POLIZIA sulla schiena di tutti”.
Fratellanza è sinonimo di vendetta? Fin dove può spingersi il confine di chi, deputato al mantenimento dell’ordine, spesso e volentieri rischia non solo di rimanere sopraffatto dal caos ma di amplificarne le derive? È possibile far coesistere la polizia di Stato con quella di “governo”?
Sono molteplici e interessanti le sfumature che emergono dalla visione di ACAB, prodotto che evidentemente nel suo formato (mini)seriale riesce laddove il film d’origine in parte latitava: la possibilità di prendersi più tempo per un tratteggio approfondito dei vari personaggi garantisce un’evoluzione non banale dei vari caratteri che si alternano sulla scena.
La prima, grande dicotomia del racconto è data dall’arrivo del nuovo comandante, Michele Nobili (Adriano Giannini), noto nell’ambiente per essere un “infame”, reo di aver fatto prevalere la verità ai danni di vecchi colleghi, rappresentante di una polizia nuova e democratica, che segue le leggi senza abbandonarsi alla violenza fine a sé stessa: logiche che difficilmente possono sposarsi con il vecchio “modo di fare polizia” caro al sovrintendente Ivano Valenti (il Mazinga di Giallini), che nel cameratismo e nell’affiatamento della sua squadra trova più di qualche semplice concordanza. Tra questi, Marta Sarri (Valentina Bellè) e Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante), la prima madre single di una ragazzina di 13 anni, il secondo ex veterano in Iraq che non lascia la caserma neanche di notte.
Come detto, però, l’aspetto sicuramente più affascinante dell’operazione – attraversata da un senso costante di tenebrosa tensione e, naturalmente, quanto mai attuale considerato il momento storico del nostro paese – è non tanto nelle pur credibili e muscolari sequenze relative a scontri e disordini (rivedibile forse quella in via del Corso a Roma con la tifoseria del West Ham…), ma nella volontà di tratteggiare ogni singolo personaggio in maniera mai troppo netta, o definita.
È nel privato di ciascuno di loro, nello svelamento progressivo di un vissuto che poco a poco ne definisce le peculiarità al netto della divisa indossata, nel dolore di un passato che potrebbe ancora determinare il presente (l’ex compagno di Marta, padre di sua figlia) o nel vortice di un tragico accadimento inaspettato (quello che accade alla figlia adolescente di Nobili), o nell’illusione di un amore a distanza (come nel caso di Lovato), oppure ancora nella presa di coscienza, tardiva certo, di aver contribuito a distruggere la rete degli affetti più cari in nome di un mestiere che spesso è difficile lasciare fuori dalla porta di casa (vedi la vicenda di Mazinga), che l’iter narrativo sa diramarsi con notevole efficacia.
Il confine tra ordine e caos – non solo nelle strade – diventa dunque sempre più labile. E questa insistente sensazione di fragilità, di instabilità, di perdita del controllo, di senso di colpa, il mettere in discussione convinzioni apparentemente inscalfibili, o gli imprevedibili ribaltamenti emotivi, sono restituiti in maniera ineccepibile anche grazie all’ottima prova dell’intero cast (tra gli altri, da segnalare Donatella Finocchiaro, moglie dell’agente ferito), nel quale svettano le prove, maiuscole, di Giannini, Giallini e Bellè.