Dopo anni in Germania a lavorare, Ahmad ritorna in Iran: quale miglior occasione per una rimpatriata post-universitaria in una villa sul Mar Caspio? Come sempre, ci pensa la bella ed energica Sepideh, che per l'amico divorziato invita pure Elly, l'insegnante della figlia: lo “scopo ri-matrimonio” serpeggia, tanto che le lodi per la giovane donna si sprecano. La convivenza fila liscia, anzi gioiosa, con solo qualche sparuto rannuvolamento di Elly, ma il sole sta per… annegare. Mentre gli uomini giocano a pallavolo e le donne fanno la spesa, Elly rimane sulla spiaggia con i bambini: l'aquilone vola, lei è felice, intanto, un piccolo affoga. Viene salvato per miracolo: lui, ma Elly, che pur se ne voleva andare, dov'è finita? What About Elly?
La risposta è dell'iraniano Asghar Farhadi, Orso d'Argento per la regia alla Berlinale e Best Narrative Feature al Tribeca nel 2009. Regista e sceneggiatore (in carnet, Fireworks Wednesday vittorioso a Locarno), Farhadi fa, anzi sembra fare, un cinema atipico per l'Iran, soprattutto quello ultimo scorso, che ha portato sullo schermo la Rivoluzione Verde con vis ideologica, ma qualche demerito poetico - vedi la “regressione didascalica” di Bahman Ghobadi, dal lirico Tempo dei cavalli ubriachi all'informativo Gatti persiani.
All'apparenza, a riguardare Elly è una commedia che si fa progressivamente thriller, e che potrebbe scambiare la denominazione d'origine iraniana con altre latitudini, quelle, per intenderci, del Grande freddo di Lawrence Kasdan. Sì, perché la (non?) soluzione incrocia moti d'animo, segreti e bugie, desideri e frustrazioni propri a ogni uomo: anzi, Farhadi ci calca la mano, con l'iniziale frenesia che nel gruppo trova la rima con deficienza - amplificata dal pessimo doppiaggio. Ma c'è dell'altro: l'opacità di Sepideh prende le botte, il celato fidanzamento di Elly è da prigione, in breve, dal fuoricampo vengono brividi, forse inconsapevoli, ugualmente raggelanti. Perché  l'autentico terrore non sta nella sorte di Elly, ma nella società iraniana.