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La Tête Haute
Malony è un bambino problematico. La madre (Sara Forestier) lo abbandona all'età di sei anni, lasciandolo ad un avvenire caratterizzato dalle continue decisioni del giudice minorile (Catherine Deneuve). Ormai adolescente, Malony (Rod Paradot) rifiuta qualsiasi convenzione sociale, la sua rabbia è impossibile da contenere, la sua esistenza perennemente in bilico tra una libertà ingestibile e la reclusione di centri di recupero e carceri minorili. La speranza di un domani migliore è nelle mani del giudice che l'ha visto crescere, di un assistente sociale che nel ragazzo rivede la sua adolescenza problematica (Benoît Magimel) e di una coetanea (Diane Rouxel) che, senza alcun preconcetto, saprà amarlo.
Il 68esimo Festival di Cannes ha aperto - Fuori concorso - con La Tête haute di Emmanuelle Bercot (seconda regista donna nella storia ad inaugurare la kermesse transalpina), romanzo di formazione che si inserisce nel già profondo solco tracciato dalla cinematografia francofona, quello abitato dai vari Truffaut, Bruno Dumont, i fratelli Dardenne, esempi altissimi verso i quali è impossibile non relazionarsi quando si tratta di accostare la macchina da presa al disagio e alle difficoltà del mondo giovanile.
Scritto dalla regista (anche attrice al Festival in Mon roi di Maïwenn, nelle nostre sale dal 3 dicembre) insieme a Marcia Romano, il film sfrutta abilmente la vis del suo protagonista, davvero credibile nel saper rendere il caos di un individuo abbandonato dagli affetti ma al tempo stesso incapace di "restituire" qualcosa a chi, in tutti i modi, cerca di tendergli una mano. La Bercot prova a tradurre questi continui, incostanti moti dell'animo, accompagnando il racconto con martellanti sonorità rap intervallate dalla quiete di una più rassicurante melodia (il Trio op. 100 di Schubert), presente in almeno tre-quattro momenti di raccordo, quasi a sospendere - almeno per qualche secondo - l'inesorabile nuova caduta di Malony. Per il quale il passaggio all'età adulta sarà forzato e inevitabile: una nuova vita che apre alla speranza ma che, allo stesso tempo, conduce alla scelta forse un po' forzata di escamotage narrativi vagamente "consolatori".
Il ragazzo è chiamato dunque al cambiamento, lo stesso in nome del quale il Festival di Fremaux ha deciso di non affidare l'apertura a film patinati e glamour (vedi Grace di Monaco lo scorso anno...): per tentare un cammino a Testa alta.