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A Quiet Place - Giorno 1
Quando guardi un film come A Quiet Place - Giorno 1 , ti devi ricordare che stai vedendo l’applicazione di una formula. Questo vale per tutto l’horror a destinazione commerciale, e in particolare per il terzo tassello del franchise che si offre come prequel. Il successo di A Quiet Place era dovuto all’idea di reinstallare nell’oggi un archetipo del genere, la privazione della percezione. Del resto la paura sempre viene aumentata dalla rinuncia a un senso, per esempio la voce, che costringe a non urlare: accadeva alla muta Dorothy McGuire ne La scala a chiocciola di Robert Siodmak, similmente accade alle figure di questa piccola saga distopica, ossia non possono gridare. Il congegno è semplice: orride creature aliene dominano la razza umana e bisogna mantenere il silenzio assoluto per non essere uccisi.
Giorno 1 va alla sorgente del “problema” e inscena il momento dell’invasione, che nel dittico era implicito e di fatto avviene senza motivo. I mostri arrivano e basta. Intervengono alcune novità a partire dal timone: John Krasinski viene sostituito da Michael Sarnoski, già regista di Pig con Nicholas Cage a cui rapiscono la scrofa, in odore di cult e quindi assoldato dalla Paramount. La protagonista non è più Emily Blunt ma diventa Lupita Nyong'o, alzando così l’impatto divistico nel volto e corpo di una delle maggiori attrici black del presente. La ragazza interpreta Samira, giovane nera affetta da un tumore maligno e ricoverata in un istituto, ormai caustica, in compagnia solo del gatto Frodo. Mentre si reca a teatro con l’infermiere Alex Wolff, ecco la catastrofe: gli esseri piombano sulla città che in pochi secondi diventa polvere e macerie. Ma c’è una premessa. In apertura si apprende che il rumore medio a New York è pari a 90 decibel, come fosse un urlo prolungato e perenne. Dal dato ambientale giunge la nemesi, il nemico dall’esterno che impone di tacere; gradualmente si realizza che occorre spegnere il rumore bianco, e le proprie voci sguaiate, per sopravvivere.
L’horror post-11 settembre, coi mostri che fanno saltare i ponti, si incontra col disastro climatico che ha portato il nostro rumore a livelli insopportabili.
Non è un caso poi che la protagonista sia una donna nera e malata di cancro. Il racconto la pone in una posizione di fragilità doppia, ma doppio è anche l’effetto che riscuote: un condannato non ha nulla da perdere e si batte alla morte, in senso etimologico, visto che è pronta a perire per assaggiare una pizza. Lupita si muove tra le rovine come un’ultima donna sulla Terra, o quasi, con felino a seguito in stile Llewyn Davis. Qui sboccia il terzo punto, che è il conflitto tra specie: come già dimostrato in Pig, Sarnoski sa porsi ad altezza animale, senza un banale antropomorfismo ma ponendo la cinepresa a quattro zampe, come accade nella sequenza del gatto che rincorre il topo. E sa anche che, vedi Cage e la sua scrofa, dal rapporto tra uomo e animale può nascere un nuovo tipo di relazione che vada oltre l’antropocene, foriero ormai di troppi danni. Così la virtuosità felina viene contrapposta alla devastazione aliena.
Infine si torna alla formula: Samira incontra Eric (Joseph Quinn), l’altro umano, e iniziano a difendersi insieme. Seppure nelle peculiarità, Giorno 1 applica allora il canovaccio della serie nella consueta dialettica tra silenzio e rumore, luce e buio: il risultato sono alcune sequenze più riuscite, altre decisamente barcollanti come il pre-finale sentimentale, che punta sulla retorica di ritrovarsi un attimo prima di perdersi. E la serie continua.