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Barnaba (Sergio Assisi) soffre della sindrome di Peter Pan. Sonia (Valentina Corti) soffre della sindrome di Stendhal. Jacopo (Ernesto Lama) è vittima della sindrome dell’abbandono. E il film? Soffre di tutte e tre le patologie. Della sindrome di Peter Pan per la comicità puerile; di quella di Stendhal per questa sua allergia alle cose belle; di quella dell’abbandono perché l'autentica vitalità partenopea non abita qui.
Ecco A Napoli non piove mai di Sergio Assisi, ennesima mini-produzione italiana senza capo né coda inspiegabilmente sovvenzionata e riconosciuta di interesse culturale da parte dello Stato.
La Napoli del titolo, da titolo, è sì solare ma anche troppo teatrale, folkloristica, pasticciata e posticcia. Le vicende dei tre disperati di cui sopra sono a zero empatia, il loro intreccio meccanico, i personaggi costantemente nascosti dietro il loro cartonato. Tutto sembra apparecchiato alla buona, con avanzi e portate insipide, servite un po' a casaccio. Il clima compiacente e disteso, da recita parrocchiale, non si sopporta. E non aiuta nemmeno la fiducia esagerata nel calembour e nell'equivoco linguistico ("Il caffè? no, voi c'avete la logorrea t'avesse fa male", oppure, “Qui a Napoli abbiamo un talento speciale per le copie originali”), perché non basta essere della stessa città di Totò ed Eduardo per dirsi concittadini nella comicità. E poi quel mandolino ovunque è uno strazio. E lo stereotipo resta stereotipo e basta: mai un ribaltamento, un paradosso, un utilizzo in chiave beffarda.
Va bene esprimere l'amore per la propria città, ma perché farlo con così tanta pochezza? Assisi/Barnaba chiede a San Gennaro di fargli la grazia di un bancomat pieno di soldi. Se avesse chiesto idee sarebbe stato meglio. Questo posto al sole fa quasi rimpiangere quello televisivo.
Poi si possono trovare tutte le attenuanti del caso (l'inesperienza del debuttante, il coraggio di provarci, la fatica nel mettere su un'impresa come questa, il ricorso al crowfunding pur di riuscirci, ecc...). Nessuna di queste però cambia il film. Capiamo tutto, ma ccà nisciuno è fesso.