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Un hijacking drama, visto oggi, fa quasi tenerezza. Un po’ perché il terrorismo sembra archiviato, anche se non lo è, un po’ perché col Covid-19 chi lo prende l’aereo. Insomma, sembra quasi archeologia, se non rassicurazione tout court: ah, quanto sarebbe bello viaggiare in aereo – tratta Berlino-Parigi, oggi fantascienza – e pazienza se qualche cattivone vuole farne un proiettile.
E’ 7500, e arriva dal 18 giugno 2020 su Amazon Prime Video dopo la premiere al Festival di Locarno del 2019: quest’anno la manifestazione elvetica non si terrà, e ci risiamo, nostalgia canaglia.
Scrive e dirige il tedesco Patrick Vollrath (1985), cortista di talento che esordisce con una Kammerspiel ambientato nella fusoliera di un Airbus 319, meglio, nella cabina di pilotaggio che racchiude il protagonista, Joseph Gordon-Levitt, ossia il copilota Tobias. Unità di spazio, tempo e luogo, con qualche trascurabile deroga, e lavoro sulla tensione, come si faceva una volta: old school, ancor prima delle Torri Gemelle, un disaster movie imperniato sul dirottamento, con suspense ad alta quota, e uniche uscite quelle scopiche (telecamere, finestrino).
Il cockpit è l’orizzonte, l’istinto di sopravvivenza e la deontologia i compagni di viaggio, con l’amore – disperato – a triangolare al di là della porta di sicurezza: tra Tobias e una hostess non solo c’è del tenero, ma anche un figlio, e il pilota sgama subito. Problema, ci sono anche i terroristi, e quale negoziazione possibile, e quanto sangue? A Vollrath non trema la camera, anzi, è fin troppo felpato: ci cucina a fuoco lentissimo, noi e l’uomo solo ai comandi, quel Gordon-Levit che ancora una volta fa di imperturbabilità, se non fissità, facciale diapason emotivo. I pugnali sono di vetro, un terrorista riluttante, il sacrificio alla carta: 7500 fa di numero titolo, di volo tragedia cartesiana, di distacco atterraggio.
Non è tutto, ma è tanto, ovvero meno: rarefatto, singolare, selettivo, non si può sbagliare. Si può morire, però.