PHOTO
Michele Placido sul set di 7 minuti
Al Michele Placido regista va riconosciuta una componente innegabile: la passione - civile, narrativa o sentimentale che sia. 7 minuti, nelle sale dopo la presentazione alla Festa del Cinema di Roma, ha un vigore civile appassionato come di rado si vedono nel cinema italiano contemporaneo. I problemi del film però sono altri.
Tratto dall’opera teatrale di Stefano Massini, rielaborata in sceneggiatura dall’autore con Placido e Toni Trupia, il film racconta della tesissima assemblea sindacale di una fabbrica tessile le cui operaie devono scegliere, dopo il cambio alla proprietà, se rinunciare a una parte della loro pausa (i minuti del titolo) e salvare i posti di lavoro di tutte le colleghe. Un dramma di parola e valori, di diritti e comprensione della realtà, ispirato a una storia vera (meno sottile del dramma: lì si parlava di licenziamenti in tronco) in cui il contenuto e il messaggio s’impongono sulla forma.
Non è necessariamente un male, può essere una risorsa anche stilistica (come dimostra l’ultimo film di Loach, Io, Daniel Blake), specie se Massini e Placido scelgono un meccanismo stile La parola ai giurati di comprovata efficacia. Ma 7 minuti ha due difetti insormontabili: il primo è la sua sceneggiatura, o meglio il modo in cui il meccanismo narrativo viene portato avanti, sbagliando spesso e volentieri i tempi della tensione, rendendo estenuante e artificiosa la suspense iniziale e frettolosamente senza climax la parte finale, puntando sul massimalismo dei concetti e dimenticando le sfumature dei risvolti. Cercando insomma l’allegoria, quindi un gioco facile, e non la realtà ben più complessa.
Il secondo è la regia di Placido che nel cercare l’immediato coinvolgimento dello spettatore si appoggia solo agli elementi più chiaramente teatrali (l’ambientazione reale, i dialoghi e le parole, la bravura delle attrici tra cui spiccano Ottavia Piccolo e Fiorella Mannoia) senza fare lo sforzo di elaborarli cinematograficamente, senza lavorare con le immagini per una riflessione più profonda di una tribuna elettorale, di cui il film ricalca anche i metodi di attrazione retorica. Ha ritmo 7 minuti e la convinzione di essere nel giusto che lo rende di un certo impatto. Ma non sposta di un centimetro la consapevolezza dello spettatore, non lo arricchisce. Ne certifica solo le posizioni acquisite, anche dal punto di vista meramente filmico. Un congegno di portata rivoluzionaria che si accontenta di conservare.