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2047 - Sights of Death
Un dream team di tutto rispetto: Danny Glover, Stephen Baldwin, Rutger Hauer, Daryl Hannah e la iena Michael Madsen per un action fanta-apocalittico completamente scritto, prodotto e girato in Italia. Onore, innanzitutto, ai due produttori Monika Bacardi e Andrea Iervolino che con la loro AMBI, casa di produzione internazionale, potrebbero in futuro spalancare molte porte alle italiche glorie. Nel 2047, una spietata Confederazione guida le sorti della Terra con pugno di ferro. Su di un altro fronte, il gruppo ribelle di GreenWar è alla ricerca di testimonianze sui genocidi perpetrati dalle gerarchie militari del governo confederato. Su mandato di Sponge (Glover), l'anziano capo dei ribelli, l'agente Ryan Willburn (Baldwin) è spedito in missione nel tentativo di recuperare un prezioso database, ma sulla sua strada incontra il sadico colonnello Asimov (Hauer), affiancato dal bel maggiore Anderson (Hannah) e dal losco mercenario Lobo (Madsen) e la sfida diventerà ben presto una resa dei conti all'ultimo sangue. A completare il lotto, ci pensa una mutante dai misteriosi poteri di nome Tuag (Neva Leoni) che prenderà, immancabilmente, le parti del ribelle Willburn. Non più solo Hollywood, dunque, a tentare produzioni di genere coraggiose a sufficienza per puntare a una distribuzione internazionale: cast di primo livello (c'è bisogno di specificare i due divi di Blade Runner?) e risorse tecniche adeguate a voler sfatare quel tremendo “vorrei, ma non posso” di tante produzioni velleitarie del settore. Siamo esattamente a metà strada tra operazioni come L'arrivo di Wang (2011) dei Manetti Bros, sci-fi low budget e necessariamente intimista, e produzioni faraoniche come il recente Snowpiercer (2013) del coreano Bong Joon-ho, che ha in sostanza reinventato la fantascienza d'autore. Con il nostro 2047 - Sights of Death, tuttavia, siamo ben lontani da quei livelli, intendiamoci. La sceneggiatura della giovane promessa Tommaso Agnese si lascia apprezzare per la sua coerenza di fondo e per l'adesione, spudoratamente manichea, ai cliché della science fiction made in USA, e infine per una certa inventiva nel dosare al punto giusto i colpi di scena (quello finale, a proposito, non è niente male, ma non sveliamo di più...). Da rivedere, invece, l'umorismo non sempre pungente e che, più di una volta, fa il verso al peggior Quentin Tarantino.
Fotografia gelida, “americana” nel miglior senso del termine, quella di Davide Manca.
Regia corretta, essenziale, quella di Alessandro Capone, che dimostra di saper reggere l'impatto col genere e con un cast di divi imbolsiti ma ruspanti, anche se il gigioneggiare di Rutger Hauer, replicante d'altri tempi, forse è davvero troppo.