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20 sigarette
Aureliano Amadei è l'unico civile sopravvissuto alla strage di Nassirya nel 2003: a terra rimasero 19 italiani, lui, pur gravemente ferito, se la cavò. Ma ancora oggi ne porta i segni: una caviglia in necrosi, i timpani esplosi, le schegge in corpo.
Eppure, quella tragedia collettiva e individuale non l'ha piegato al silenzio, tutt'altro. A novembre 2003, Aureliano, 28 anni d'anarchia e precariato, esperienze d'attore e desideri di regia, era andato in Iraq per fare l'aiuto regista a Stefano Rolla: finì prima all'ospedale americano di Nassirya e poi al Celio di Roma, con politici, militari, giornalisti a sfilare davanti al letto dell'“eroe per caso”.
Ma Amadei non è rimasto zitto, è passato dall'altra parte, quella che l'aveva ridotto a oggetto di racconto, se non compassione: la sua esperienza, viceversa, l'ha raccontata lui, prima con un libro, poi a teatro, infine con un film.
20 sigarette è la sua opera prima: il bravo Vinicio Marchioni lo interpreta, Carolina Crescentini è l'amica Claudia, Giorgio Colangeli Stefano Rolla.
Vincitore del Controcampo Italiano alla Mostra di Venezia, dall'8 settembre in sala con Cinecittà Luce, è un film costruito in prima persona, singolare e soggettiva, che cerca di mixare intimismo psicologico e action spettacolare, primo piano privato e campo lungo pubblico, accenti guerrilla-style e codice fiction, montaggio parossistico e tradizionale scansione narrativa. La sintesi dovrebbe catalizzare la riflessione sulla guerra: gli uomini prima della divisa, il rifiuto senza se e senza ma alle “missioni di pace” all'estero. Dovrebbe, appunto, perché lo sguardo di Amadei se rimane sincero e ovviamente coinvolto concede molto, forse troppo al pathos, all'astigmatismo mélo in una poetica illustrativa, impressionista, se non didascalica.
Così, le sferzate in soggettiva, il graffio espressionista più che da contrappunto fa da spia: di una sana intenzione memoriale che da sperimentale che si voleva si è ritrovata tra i paletti delle logiche produttive. Ciò non smussa la testimonianza storica e umanistica di Amadei, ma insieme ne trasla l'ideale collocazione: non più il cinema senza se e senza ma, ma uno schermo che agevolmente si farà piccolo, in prima serata. La tragedia, ovviamente, è quella che inquadra, ma rimane sventurato un Paese che ha bisogno di eroi televisivi.