Per risalire alle origini bisognerebbe vedere il capolavoro di Taylor Sheridan, 1883, uno dei due prequel di Yellowstone, che narra con passione incandescente le gesta del trisavolo James (interpretato dal famoso cantante Tim McGraw), il primo dei Dutton a lanciarsi nell’ignoto, dal Tennessee al Montana, in nome della libertà.

Una traversata epica, piena di insidie e pericoli, in cui James trascina la famiglia, la moglie Margaret (anche nella realtà, Faith Hill nota cantautrice) e i due figli.

In 1923, dal 23 febbraio in streaming su Paramount+, James e Margaret non ci sono più, al loro posto sono rimasti il fratello Jacob (Harrison Ford), proprietario del ranch Yellowstone e la moglie Cara (Helen Mirren), che hanno cresciuto Spencer (Brandon Sklenar) e Jack (Darren Mann), rispettivamente nipote e pronipote. Spencer però ha scelto un’altra strada, dopo la guerra è andato in Africa, dove è diventato cacciatore di leoni e ha incontrato la donna della sua vita Alexandra (Julia Schlaepfer, superba).

È amore a prima vista: la contessa del Sussex lascia il fidanzato e scappa con Spencer. 1923 parte 2, come la precedente, intreccia quattro storie: Spencer e Alexandra, divisi dal conte di Sussex cercano di raggiungere l’America rimasta contro la sua volontà a Londra, lui nelle stive di un'altra nave che approda in Sicilia. Jacob e Cara, intanto in condizioni sempre più instabili, hanno dovuto vendere il bestiame e parte delle terre, minacciati costantemente dagli avversari, soprattutto Donald Whitfield (Timothy Dalton, impressionante), imprenditore senza scrupoli, con una visione. Jack e la bella moglie Elizabeth (Michelle Randolph) scoprono, come il titolo del primo episodio (Winter Is the Killing Season), che l’inverno in Montana è la stagione assassina. E la fuga disperata di Teonna (Aminah Nieves), giovane nativa americana rapita dalla sua famiglia e piazzata in un collegio indiano gestito dalla chiesa cattolica, che si è vendicata delle sue carceriere con insolita efferatezza. Sulle sue tracce un prete e uno sceriffo spietato.

Il primo episodio incomincia con la forza trascinante della scrittura di Taylor Sheridan, punteggiata da continui colpi di scena. Ma il cuore pulsante della serie sono Alexandra e Spencer.

Con l’aiuto della migliore amica, Jennifer (Jo Ellen Pellman), Alexandra riesce a scappare a imbarcarsi per andare in America, e non potendo permettersi altro se non la classe turistica, passa più di un mese tra mendicanti e topi, come le ricorda l’ufficiale preposto a selezionare gli immigrati a Ellis Island. Migliaia di persone trattate come bestie, timbrate e ispezionate in ogni parte, palpate e sbeffeggiate senza ritegno, perché l’America non è la terra dei sogni ma quella delle opportunità, che non ha bisogno di altre “prostitute e pezzenti”.

Di fronte all’aguzzino vestito da guardia, Alexandra, fulgida nella sua furia, prima cita il sonetto The New Colossus di Emma Lazarus che giace ai piedi della Statua della Libertà : “Send these, the homeless, tempest-tost to me, I lift my lamp beside the golden door!” (A me date i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata!), poi prende in mano Foglie d’erba di Walter Whitman, pubblicata nel 1855 in occasione del giorno dell'Indipendenza, un segno propiziatorio per un'opera destinata ad essere considerata come la Bibbia democratica americana. E con altrettanta veemenza sceglie una poesia che inneggia alla grandezza americana “Oh, while I live to be a ruler of life, not a slave. And nothing exterior of me shall ever take command of me…”. Impossibile non fare un parallelo con l’America di oggi e il nuovo corso trumpiano.

Sheridan riscrive la Storia pensando al presente. In tutte le sue opere da Wind River a 1883 e Yellowstone passando per Il sindaco di Kingstone c’è un sentimento profondamente doloroso per gli sconfitti, le vittime, siano indigeni nativi o uomini di colore. Schiavi, appunto.

Il disprezzo per il predatore bianco è incarnato perfettamente da Alexandra quando rievoca i poeti Lazarus e Whitman. Il furore, la rabbia impotente di fronte alla brutale ignoranza. Sceneggiatore di raro talento, Sheridan trova la poesia anche nel male, lasciandoci ancora una volta straziati e con il fiato sospeso. Le parole di Alexandra per Spencer, separati entrambi dal destino, sono gravide di sinistri presagi. “Quale sciagura ci attende adesso?”, si chiede, durante il cammino verso il Montana, stazione dopo stazione. “Non abbiamo provato abbastanza di essere degni uno dell’altro? Quale nuovo inferno il diavolo ha inventato per noi?” Mentre l’orrore si affaccia alla porta.