Quando ci sembra di trovarci in situazioni impossibili e l'unica cosa a cui riusciamo a pensare è di mollare tutto, dovremo ripeterci solo due parole: Aron Ralston. Un nome e cognome: un monito a non arrendersi mai. Aron (James Franco) è uno di quei pazzi sportivi che amano mettersi alla prova, spingendo sempre più in là il limite del possibile. In un week-end come un altro decide di fare un'escursione nel canyon dello Utah e durante un semplice passaggio, cade rimanendo bloccato con un braccio sotto un macigno. Per quanto si sforzi, muscoli e cervello non riescono a spostare a quel masso. I viveri sono pochi e fa molto freddo (tranne che per un quarto d'ora di sole, il posto in cui è imprigionato è completamente all'ombra). Aron è fin troppo esperto per sapere che non potrà sopravvivere a lungo in quelle condizioni. L'unica soluzione per tornare a vivere sarà quella che richiede più coraggio.
Danny Boyle (Trainspotting, The Millionaire), stregato dalla storia vera accaduta a Ralston, decide di realizzare un film difficile e angosciante: il pubblico non può girare lo sguardo altrove, si è lì con Aron per tutta la durata del film e si soffre con lui per una sorte tanto beffarda. Boyle è abile nel combattere questa sensazione di claustrofobia con dei colpi d'aria rappresentati dai pensieri di Aron, che si liberano leggeri e volano verso i ricordi d'infanzia, i momenti felici e quelli più dolorosi. In un momento così difficile il passato potrebbe essere fonte di rimpianti e privarci della grinta per cercare di andare avanti; credere nel domani, credere in quel piccolo bambino che appare a sostenerlo, ha voluto dire salvarsi. La rabbia, la frustrazione, i momenti di paura e di mancanza di lucidità sono resi con grande efficacia da James Franco, che si conferma essere uno dei volti più importanti del cinema hollywoodiano.