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“È la storia più personale che abbiamo mai messo in scena. Ho incoraggiato Kata a trasformare quei suoi appunti in una sceneggiatura: con questo film volevamo realizzare una storia autentica su una tragedia e su come imparare a convivere con quel dolore. Una perdita sfugge alla nostra comprensione o al nostro controllo, ma porta con sé la capacità di rinascere”.
Habitué del Festival di Cannes, l’ungherese Kornél Mundruczó (White God, Una luna chiamata Europa) arriva per la prima volta in Concorso a Venezia con Pieces of a Woman, suo primo film girato e ambientato negli States, recitato in inglese, interpretato da Vanessa Kirby, Shia LaBeouf ed Ellen Burstyn.
“Il film nasce da una pièce teatrale, un dialogo tra una madre e una figlia, una storia sulla maternità, sull’isolamento provato dalle donne che perdono i propri bambini. Lo spunto è personale, volevo affrontare quest'argomento che ho vissuto in prima persona, affrontare il dramma di un figlio mai nato”, spiega Kata Weber, moglie del regista e abituale sceneggiatrice dei suoi lavori.
Ambientato a Boston, il film segue la vicenda di Martha (Kirby) e Sean (LaBeouf), coppia in procinto di avere una bambina. La loro esistenza cambia irrimediabilmente dopo il parto in casa, per mano di un’ostetrica (Molly Parker) confusa e agitata che verrà accusata di negligenza criminale. Comincia così l’odissea di Martha, che deve sopportare il suo dolore e al contempo gestire le difficili relazioni con il marito e la dispotica madre, oltre che confrontarsi in tribunale con l’ostetrica, divenuta oggetto di pubblica denigrazione.
“Senza dubbio è stata una delle esperienze cinematografiche più forti della mia vita”, racconta Vanessa Kirby, oggi al Lido. “Cercavo un ruolo che mi spaventasse: sono queste le sfide migliori del nostro mestiere, non sono madre e per questo sentivo il dovere di rappresentare al meglio questo processo emotivo sullo schermo. Cercare il giusto livello di dolore, per restituire quel dolore delle donne con cui ho parlato, includere l'essenza di quella perdita, bambini persi che rimangono comunque sempre presenti”, dice ancora l’attrice, che nella prima mezzora del film è chiamata all’estenuante rappresentazione del travaglio.
Pieces of a Woman“Il lungo piano-sequenza iniziale - circa 30 pagine di sceneggiatura - con cui raccontiamo il travaglio e il parto è stato scelto per essere il più vicino possibile a Martha, per essere lì con lei in quel momento. Abbiamo compresso otto ore reali in 25 minuti di film, trasformandola però in un'esperienza reale e questo puoi farlo in maniera credibile se hai un'attrice come Molly Parker che ha fatto realmente l'ostetrica”, spiega Mundruczó, che aggiunge: “Lasciando in quel momento agli attori la massima libertà di recitazione, l’unico modo possibile di restare loro accanto era attraverso un unico shot. Non abbiamo fatto troppe prove, perché sono utili da un lato ma in altri casi diventano nemiche dell’autenticità”.
In collegamento da New York è intervenuta anche Ellen Burstyn, che nel film interpreta la madre di Martha: “Ho amato molto il modo in cui Kata ha scritto il mio personaggio, una donna che viene da una famiglia sopravvissuta all'Olocausto, che ha bisogno di far sì che quell'avvenimento non domini la propria esistenza, determinata a non cedere e a mettere una sorta di cuscino su quelle esperienze, come avviene nella scena in salotto quando abbellisce una semplice sedia mettendoci sopra un cuscino. Quello che vuole è che sua figlia sia sé stessa. Vuole che la figlia possa vivere il suo lutto, e sopravvivere come lei ha sopravvissuto”.
Pieces of a WomanPieces of a Woman racconta proprio questo, in fondo, l’inevitabile trasformazione che un dolore simile determina e le difficoltà derivanti dal mondo circostante, con i familiari o chi per loro che pensano di avere la soluzione: “Sono abbastanza emotiva, cercare di sopprimere tutto non è stato semplice, al contrario di Shia che esplodeva tutte le sue emozioni e non andargli dietro è stato difficile. Ho tenuto a mente l'esperienza che mi hanno raccontato alcune donne, quella di entrare cioè in una solitudine mentale che la società, le persone intorno a te, non riescono a scalfire in nessun modo”, dice ancora Vanessa Kirby, presente anche in un altro film del concorso veneziano, The World to Come di Mona Fastvold, in programma domani, 6 settembre.