L’Harley Quinn di Margot Robbie sta per tornare. Dopo Suicide Squad, l’ex-fidanzata di Joker diventa mattatrice in Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn, di cui ancora si sa pochissimo. Sarà distribuito nelle sale italiane dal 6 febbraio. Abbiamo parlato con l’attrice Rosie Perez, che presta il volto alla coriacea Renee Montoya.  “È una donna salda nei suoi valori, tormentata, gran lavoratrice, intelligente. Fa parte dei vertici della polizia, dà la caccia ai cattivi. Per prepararmi ho letto molti fumetti. Lei è innamorata di una donna, deve districarsi tra tradimenti e corruzione, ed è un’alcolista. Ho cercato di unire queste caratteristiche, e di costruire un personaggio magnetico. Prima di Birds of Prey la conoscevo, ma non in modo approfondito. Sapevo che Montoya lavorava a Gotham, e aiutava Batman”, racconta Perez.

Che cosa la attrae di questa storia?

Lo spirito di emancipazione, non solo di Harley Quinn, ma di tutte le protagoniste. Non si finisce mai di crescere, di apprendere, di essere più libere, a qualsiasi età. E questo è il messaggio che mi ha colpito di più. Poi, essere al fianco di Margot Robbie e di Ewan McGregor è stato fantastico. Margot è una persona meravigliosa, che non si risparmia. È disponibile, non mette soggezione, in ogni momento lei è lì, per chi ha bisogno. E non è scontato tra i giovani. Con McGregor sono partita con un pregiudizio: pensavo che fosse la classica star di Hollywood, un po’ distaccata. Invece è gentile, dolce. È stata una sorpresa. Mi piace il suo ruolo, ma per ora non posso dirvi nulla (sorride, n. d. r.).

Che atmosfera si respirava sul set?

È un film fisico, per me è stato difficile. Mi sono fatta male il primo giorno di allenamento. Pensavo che mi avrebbero sostituita, invece tutti mi hanno dato forza. Anche se il dolore era atroce, sono andata avanti, ho osato fino allo spasimo. In molte sequenze di combattimento nessuno penserebbe che avevo problemi sia ai menischi che ai legamenti. Comunque ero monitorata dai dottori e dai preparatori atletici. Non venivo lasciata sola nemmeno un istante, ci si aiutava a vicenda. Cercavamo di incoraggiarci, di non mollare. È stata un’esperienza unica.

Come pensa che sia cambiata la sua carriera in questi anni, partendo dalla sua prima apparizione in Fa’ la cosa giusta di Spike Lee?

Sono passati trent’anni, era il 1989. È stato tutto molto veloce: Spike Lee, Peter Weir, Broadway… Ho preso parte a progetti esaltanti. Sono una portoricana in America, ma non ho mai pensato che non ce la potessi fare. Mi dicevo: “Vai avanti, e goditi il viaggio!”. Non mi sono buttata giù, bisognava stringere i denti e perseverare, la volontà è determinante. In tante hanno lasciato perdere troppo presto. Ma in questi anni ho capito quali sono le cose importanti della vita. La mia esistenza vale più dei film che ho fatto, i veri traguardi sono la mia casa e gli affetti.

Che cosa si ricorda di Fearless – Senza paura di Peter Weir e della nomination agli Oscar per la miglior attrice non protagonista?

Non ero ancora pronta. Ero troppo giovane, non sopportavo di sentir dire che era  incredibile che recitassi così a quell’età. Pensavo che nessuno avesse il diritto di giudicarmi. Erano altri anni, ho poi imparato a godermi ogni istante. Mi viene in mente la sera degli Oscar. Mio padre mi ha preso la mano prima che annunciassero il vincitore della mia categoria. Mi ha detto: “Stai per perdere”, mi ha dato un bacio sulla guancia e ha aggiunto: “Sono orgoglioso di te”. Per me è stato un trionfo.

Lei è molto attiva anche a Broadway.

Dal palcoscenico a Hollywood, ma sono due mondi diversi. A Hollywood sei coccolato, hai la tua sedia, c’è chi si prende cura di te. A Broadway hai davanti solo il copione e tanto sudore. Però, durante lo spettacolo, poter guardare in faccia il tuo pubblico è qualcosa di unico. Ma amo entrambe queste realtà.

Lei è anche una regista, ha diretto il documentario I’m Boricua, Just so you Know!. Tornerà dietro la macchina da presa?

In quel documentario sul rapporto tra Stati Uniti e Puerto Rico ho messo tutto: passione, energia, sentimento. Servono una dedizione totale, una bella idea, e magari potrei accettare di nuovo la sfida.

 

(L'intervista è stata pubblicato sul numero di gennaio/febbraio della Rivista del Cinematografo)