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Sbagliato nei tempi e nei modi, ma ancor più nella sostanza. Il presidente di giuria Spike Lee, vai a sapere se incresciosamente o da finto tonto, ha iniziato la cerimonia di chiusura rivelando anzitempo la Palma d’Oro, a Titane di Julia Ducournau.
L’imbarazzo è stato generale, ma c’è di peggio: la scelta.
Ventotto anni dopo Lezioni di piano di Jane Campion, la Palma va a una regista: forse è solo da leggere così. Perché Titane, una sorta di Crash dei poveri (di immagini e immaginazione), da solo, ovvero in quanto film e basta, non ce l’avrebbe mai fatta: al di là degli entusiasti di professione o dei crociati del genere (quelli che prescindono dal valore intrinseco), Titane è poca roba (1,6 per i critici interpellati da Screen, per dire, Drive My Car era a 3,5), nella migliore delle ipotesi l’abbiamo già visto e fatto meglio, l’unica “novità” sta nel genere dietro e davanti (Agathe Rousselle) macchina da presa. Contenti loro, ciò, voi: basta una sola sequenza del “modello” Crash di David Cronenberg a rottamarlo.
Ma è solo la punta dell’iceberg che ha affondato il Titanic (ah, ah), ovvero un concorso già di suo mediocre: Spike Lee e accoliti hanno fatto sfaceli.
Ne commentiamo solo due: Drive My Car del giapponese Ryusuke Hamaguchi, di gran lunga il migliore, deve accontentarsi dell’alloro per la sceneggiatura, tratta da Murakami; gli ex aequo sono ben due, per il Grand Prix e per il premio della giuria.
Non si uccidono così anche i festival?