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Song of Silence
Cina meridionale, provincia dello Hunan. Jing è un'adolescente sordomuta, figlia di genitori separati. Avverte un clima ostile da parte della madre e del suo nuovo compagno e va a vivere in un villaggio di pescatori con il nonno e lo zio, l'unico che la fa sentire importante. Quando il rapporto tra i due oltrepassa il consentito, Jing torna in città dal padre, che a sua volta ha una nuova amante. Dopo un inizio difficile, il rapporto tra queste due donne cambia e diventa di coinvolgimento e complicità. Il padre resta a subire le conseguenze di questa inattesa ‘amicizia'…
Per inquadrare correttamente il film, è importante dire che il regista, nato nel 1978 nella stessa zona in cui si svolgono i fatti, è architetto, si dedica a vari settori dell'arte contemporanea (animazione, fotografia, video sperimentali) e gira questa opera prima proprio come sintesi delle esperienze precedenti. Molto minuzioso e dettagliato, il copione diventa il ritratto di una piccola fetta dello sterminato mondo cinese, nel quale antico e moderno lottano aspramente alla ricerca di un equilibrio. I contrasti familiari e affettivi, le coppie separate e le dure conseguenze per i figli lasciati ai margini disegnano una società non molto diversa da analoghe situazioni occidentali.
Lo sforzo di Zhuo è quello di avvolgere azioni e fatti dentro una dinamica esistenziale fatta di dura realtà e di ispida poesia. Molti riferimenti sono difficili da cogliere ma lo sguardo è affidato ad un linguaggio coinvolgente che vuole dire: Non siamo un universo a parte, abbiamo problemi come gli altri e il cinema ci aiuta a capirli. Genitori e figli affrontano l'incomunicabilità dentro città avveniristiche, mentre fuori immensi spazi naturali restituiscono la giusta misura delle cose. Un esordio di buona qualità.