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È ormai in procinto di debuttare nelle sale (da giovedì 28 marzo) l’ultimo, atteso, film live action Disney: Dumbo, la storia dell’elefante più famoso del cinema, rinarrata per l’occasione da Tim Burton.
Il primo esempio risale al 1994. L’anno in cui vedeva la luce per la prima volta Il Re Leone, debuttava anche quello che, allora, era un ardito esperimento: Il Libro della Giungla diretto da Stephen Sommers e interpretato da Jason Scott Lee e, tra gli altri, il “giurassico” Sam Neill. Oltre a una lunga serie di ben addestrati animali della giungla, si intende.
Il tentativo si ripeté altre due volte in chiusura di millennio, con i capitoli live action de La carica dei 101 (e dei 102). La strada fu poi abbandonata per un decennio, finché lo stesso Tim Burton, ora regista del tenero elefantino, fu chiamato a dirigere l’adattamento di Alice nel paese delle meraviglie (cui farà seguito Alice attraverso lo specchio, nel 2016).
È il primo vero passo di una politica diffusa che, oggi, porta nel solo 2019 ben quattro versioni live action di film Disney animati. La casa di Topolino, ormai, produce più riadattamenti dei suoi classici che nuove pellicole d’animazione. E, con qualche rara eccezione (Frozen), ottiene anche maggiori successi.
A cosa si deve questa progressiva riscoperta del patrimonio animato? Riallacciarsi a classici già conclamati, sostenuti dall’effetto nostalgia, rappresenta sempre un investimento sicuro. Ma questo non basta a spiegare il “fenomeno” live action: sarebbe sufficiente, altrimenti, produrre nuovi sequel di vecchi cult (come con Toy Story, il cui quarto capitolo è atteso per il prossimo giugno). Allora perché insistere nel trasformare classici dell’animazione in film in carne e ossa?
Considerando la finalizzazione dell’accordo, già prospettato da mesi, che ha portato all’acquisizione di Fox, in aggiunta a Marvel e Star Wars, Disney dirige ormai un vero e proprio impero di proprietà intellettuali.
E tali proprietà (Universo Cinematografico Marvel, la “galassia lontana lontana”) hanno un peso considerevole nell’immaginario collettivo di vecchie e nuove generazioni. Il fatto che siano per la maggior parte composte da pellicole live action non può, quindi, non aver influenzato anche Disney, nel re-immaginare la sua stessa scuderia di film, attuali e futuri.
Ecco quindi che tornano, stavolta in carne e ossa, Alice, Mowgli (di nuovo), Belle e la Bestia, Malefica, Cenerentola. E non finisce qui.
In prima linea, pronto a esordire il 24 maggio prossimo, l’Aladdin di Guy Ritchie. Un regista specializzato nel modernizzare eroi e leggende senza sminuirne il contesto di riferimento. Ci è riuscito alla grande con i due film su Sherlock Holmes, un po’ meno con King Arthur: Il potere della spada. La speranza è che la sua tendenza all’azione spettacolare e la coreografia si fondano con la musicalità del classico Disney e la frizzante vivacità di chicche quali Will Smith come Genio della Lampada.
Will Smith è il Genio in Aladdin, diretto da Guy RitchieA luglio invece è il turno del ritorno del re, il Re Leone, con Jon Favreau alla regia. Curiosità di questo film è che, tecnicamente, non è un live action. Implementerà un uso massiccio della CGI, testata dallo stesso regista sul secondo remake de Il Libro della Giungla (2016).
Tuttavia, al contrario di quest’ultimo, non impiegherà alcun attore in carne e ossa se non per il doppiaggio. Vanterà comunque, voci del calibro di Donald Glover (Simba), Chiwetel Ejiofor (Scar), Beyoncé (Nala) e la grande riconferma di James Earl Jones (Mufasa).