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"Sono stanca di dover giustificare il fatto di essere madre e di voler lavorare allo stesso tempo". E' Barbara Cupisti a parlare del suo documentario intitolato Womanity, presentato nella sezione Alice nella città alla Festa del Cinema di Roma: "Ho scelto questo titolo perché è l'umanità al femminile, poi dopo mi sono resa conto che c'è un'associazione per i diritti delle donne in Svizzera che si chiama così".
Questo film racconta trentasei ore di vita di quattro donne che vivono in India, in Egitto e negli Usa. Storie di resilienza che ci conducono nella forza positiva che le donne esercitano nella società, nella sfera domestica e nel lavoro.
Le protagoniste sono: l'egiziana Sisa che divenuta vedova molto giovane decise di travestirsi da uomo e di lavorare come lustrascarpe per garantire un futuro a sua figlia rinunciando alla propria femminilità ("Per motivi di tradizione se una donna rimane senza marito non può lavorare ed è costretta a fare l'elemosina", spiega la regista), poi ci sono Geeta e Neetu, due indiane, madre e figlia che sono rimaste vittime di un terribile attacco con l'acido da parte del rispettivamente marito e padre ("Il 90% delle donne ha cicatrici di qualsiasi genere e dobbiamo cominciare a farle vedere"); e infine c'è Jonnie, una camionista americana che grazie alla sua forza è riuscita ad affermarsi in una comunità segnata da valori esclusivamente maschili ("una donna grossa da sempre bullizzata dal padre").
"Ho iniziato a pensare questo film dieci anni fa. E' un filo conduttore che mi ha accompagnato in tutti questi anni, ho sempre parlato del femminile ed è stato sempre molto presente nelle storie che raccontavo. Volevo fare un affresco di quella che è la lotta quotidiana dell'universo femminile", dice la Cupisti, che nel 2007 con il doc Madri vinse il David di Donatello come miglior documentario. E poi racconta: "Ho incontrato delle storie di donne pazzesche e incredibili. Queste che ho raccontato sono davvero emblematiche. Sono storie di solitudini, ma anche di eroine dei nostri giorni".
Ma come mai nessuna storia è ambientata in Europa e nello specifico in Italia? "Ne avevo tante in mente per esempio volevo parlare delle donne che avevano subito violenza nei campi di pomodori in Sicilia, ma non erano italiane e poi erano sotto protezione. Come storia prettamente italiana avrei voluto raccontare la normale quotidianità di una donna che deve costantemente lottare contro il tempo".
Il doc è dedicato alla regista e sceneggiatrice belga Chantal Akerman perché: "Era la presidente di giuria d'Orizzonti alla Mostra di Venezia nel 2008. Anche io facevo parte di quella giuria ed è stata un'esperienza incredibile. Era una persona pazzesca e mi ha dato davvero tanto insegnandomi ad essere grintosa, forte e a non avere paura".