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“Un paio di mesi fa ho finito un film, realizzato con la committenza di Sky/Vision, e adesso è fermo. È pensato per le sale, che in questo momento sono chiuse. Purtroppo si ha la sensazione che difficilmente riapriranno prima della tarda primavera o addirittura prima dell’estate. Sarà un processo graduale, perché i titoli bloccati sono molti. Bisognerà mettersi in fila. Si partirà dalle uscite prenatalizie per poi andare avanti in ordine cronologico. Il problema dell’estate sarà il sovraffollamento, in un periodo in cui il pubblico tendenzialmente non va al cinema. Io ho vissuto questa esperienza con Il signor Diavolo e il risultato non è stato di certo entusiasmante”, spiega il regista Pupi Avati.
“Stiamo vivendo una situazione critica. Non sappiamo se uscire in streaming adesso o aspettare la sala in estate. La differenza è sostanziale. In una sala cinematografica è il film che comanda. Non ho mai visto uno spettatore abbandonare il suo posto dopo pochi minuti, anche perché ha pagato il biglietto. Le condizioni della fruizione sono ideali, non solo per quanto riguarda la dimensione dello schermo, ma anche per il rispetto del lavoro a cui ci si accosta. Il silenzio è totale, il livello di concentrazione è alto. Invece con lo streaming la libertà è massima: è l’utente a decidere che cosa fare. Sono due mondi completamente diversi”, aggiunge Avati.
Pupi Avati - Foto Karen Di Paola
E prosegue: “Le piattaforme permettono di richiamare milioni di persone, mentre la sala no. A quel punto bisogna interrogarsi su quale sia il pubblico a cui ci si vuole rivolgere. A chi è consapevole di quello che va a vedere o a chi ti sceglie tra decine di prodotti in base all’offerta della serata? Purtroppo ho la sensazione che il destino della sala sia segnato, ineluttabile”.
“Già prima del lockdown andare al cinema non era più un’abitudine. Adesso la ferita è ancora più profonda. Serviranno delle idee nuove, delle forme seduttive, capaci di attirare gli spettatori. Servirebbe che l’esercente tornasse a fare il “cinematografaro”, come un tempo. Mi spiego meglio: partecipare all’atto creativo. Una volta i film erano anche finanziati dalle agenzie regionali. Per mettere insieme il budget, facevamo il giro delle sette chiese. Ho fatto così per La casa dalle finestre che ridono, recuperando 150 milioni di lire di cambiali. C’era un coinvolgimento che iniziava fin dalla nascita del progetto. Non ci si limitava a programmare un titolo in 800 sale, ammazzando il cinema. C’era un’attenzione speciale per la qualità, un progetto condiviso”.
La Fondazione Ente dello Spettacolo, in collaborazione con Avvenire, si schiera a sostegno della sala con Cineripresa, un’iniziativa che vuole guardare con speranza al futuro. Sui canali della Fondazione verrà chiesto alle persone di spiegare il motivo per cui vogliono tornare al cinema. A chi scriverà i commenti più interessanti e originali verrà regalato un biglietto, da utilizzare quando si parlerà di riapertura e non di nuove chiusure.
Tutte le informazioni sono disponibili qui.