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Ritratto privo di retorica sull'eterno dilemma tra apparire ed essere oppure scavo, dissezione accurata di quelle dinamiche che possono condurre una famiglia, passo per passo, sull'orlo della disgregazione? Pulce non c'è, probabilmente, si presta ad entrambe le letture e in ciò risiede la sua forza.
Il dramma è quello della famiglia Camurati, appartenente alla buona borghesia torinese (il padre, Gualtiero, è un medico). Da sempre, la vita della famiglia è segnata dalla condizione della piccola Margherita, per tutti “Pulce”, bambina affetta da autismo con conseguenti disturbi dell'apprendimento, appassionata di musica e ghiotta di succo di tamarindo. Seppure tra mille difficoltà legate alla cura della piccola Pulce, la vita della famiglia Camurati prosegue senza troppi scossoni finché la più orribile delle accuse non giunge a sconvolgere un equilibrio già di per sé precario: si sospetta difatti che il padre Gualtiero abbia abusato di entrambe le figlie, la piccola Pulce e la maggiore Giovanna, adolescente timida e riservata. L'intervento delle autorità strappa così la bambina dalle mani della famiglia per affidarla a una comunità. Da questo momento, inizia la difficile battaglia giudiziaria dei Camurati per riavere indietro Pulce, uno scontro che si articola fra i poli dialettici di infanzia ed età adulta, “normalità” e “diversità”, nella difficile ridefinizione di un percorso familiare complesso e disarmonico.
Giuseppe Bonito, al suo esordio nel difficile mondo dei lungometraggi, evita le secche fin troppo facili del sentimentalismo e della melassa - l'uso parco, quasi minimale della colonna sonora, di per sé, può quasi far gridare al miracolo alle nostre latitudini - intessendo con sobrietà un quadro familiare e sociale in una Torino dalla luce grigia e spenta (asettica come la luce degli istituti per l'infanzia e dei palazzi di giustizia) che la fotografia coglie in maniera mai così impietosa.
Interessante il rapporto delineato fra i due coniugi: un'intensa Marina Massironi nel ruolo della madre Anita e un burbero Pippo Delbono in quello di Gualtiero, due figure lontane, quasi impossibilitate a comunicare, ma che trascinate all'improvviso nel vortice del sospetto e del dramma pongono le basi per un riavvicinamento. Da menzionare, infine, la prova dell'esordiente Francesca Di Benedetto, misurata e convincente nel ruolo di Giovanna, adolescente impacciata, dotata di poche certezze e costretta a divenire adulta dinanzi a un mondo in cui la violenza e il sospetto possono annidarsi tra le mura di casa.