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NOMADLAND
Con il premio del pubblico vinto al Toronto Film Festival, Nomadland, già Leone d’Oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, si lancia definitivamente nella corsa agli Oscar. Il riconoscimento rappresenta tradizionalmente un indicatore per l’Academy: negli ultimi dieci anni, tre film (Il discorso del re, 12 anni schiavo, Green Book) hanno ottenuto anche l’Oscar per il miglior film e sei sono stati candidati nella stessa categoria (Il lato positivo, The Imitation Game, Room, La La Land, Tre manifesti a Ebbing, Missouri, Jojo Rabbit). Chloé Zhao è la front runner per la regia: sarebbe la sesta donna candidata, la prima di origini asiatiche. Ma non è l’unica regista in partita.
Regina King, attrice pluripremiata (ha appena vinto un Emmy e in bacheca ha un Oscar come miglior non protagonista), ha debuttato dietro la macchina da presa con One Night in Miami, anche questo presentato a Venezia e passato a Toronto, arrivato secondo per il pubblico. Difficile trovare un film – che sarà distribuito da Amazon Prime Video – più in sintonia con il clima: tratto dall’omonima pièce teatrale del 2013 di Kemp Powers, rievoca l’incontro di pugilato tra Sonny Liston e Cassius Clay, con quest’ultimo che, a causa delle segregazione razziale, festeggia la vittoria in una stanza dell’Hampton House Motel insieme a Malcolm X, Sam Cooke (Leslie Odom Jr. è il più quotato per una candidatura tra gli attori) e Jim Brown, discutendo del futuro della comunità afroamericana. L’Academy, poi, è sempre ben disposta a celebrare gli attori che debuttano alla regia (da Robert Redford a Kevin Costner fino a Bradley Cooper) e Regina King non è solo una vincitrice di Oscar ma anche una donna afroamericana: sarebbe la prima della storia a conquistare una candidatura alla regia.
One Night in MiamiÈ forse prematuro fare ora questi ragionamenti: al momento la cerimonia dei 93esimi Oscar è prevista per il 25 aprile, posticipata di due mesi rispetto alla data prevista. L’Academy ha cambiato alcune regole per tenere conto dell’impatto della pandemia sull’industria: è stato prorogato il periodo di ammissibilità per i lungometraggi e sono stati resi eleggibili anche i film non usciti in sala. Questo significa che, a differenza degli altri anni, i principali contendenti alla statuetta non arriveranno tutti, come spesso capita, a ridosso delle vacanze di Natale.
Potrebbe uscire a febbraio, infatti, The French Dispatch, nuovo film all-stars di Wes Anderson che avrebbe dovuto aprire il Festival di Cannes e da mesi bloccato: programmato per il 20 luglio, rinviato al 16 ottobre e ora rimandato a data da destinarsi, potrebbe uscire all’inizio del 2021 così da proiettarsi nel fermento della campagna Oscar. Oscuro anche il destino di On the Rocks di Sofia Coppola con Bill Murray (il neosettantenne è da anni in attesa di un premio), che debutterà al New York Film Festival ma non ha una data di uscita, né in sala né su Apple TV+.
The French DispatchE poi ci sono due pezzi da novanta, entrambi a oggi previsti in sala dal 18 dicembre: il nuovo West Side Story firmato Steven Spielberg potrebbe accontentare tutti (ma pesano le accuse di molestie contro la star Ansel Elgort); e il misterioso Dune potrebbe consolidare – o distruggere – la forza di Denis Villeneuve, raccogliendo quasi sicuramente una marea di candidature tecniche.
Sono stati presentati a Toronto altri film in odore di Oscar. Già selezionato da Cannes, Ammonite è uno dei mélo LGBT della stagione. Diretto dal rampante Francis Lee, può contare su due maiuscole performance femminili: per evitare lo scontro in casa, Saoirse Ronan (a 26 anni potrebbe conquistare la quinta candidatura) dovrebbe passare tra le non protagoniste, lasciando tra le leader Kate Winslet. In volata verso l’ottava candidatura, l’attrice britannica è già in piena campagna elettorale: a Toronto ha ricevuto il Tribute Actor, The Hollywood Reporter le ha dedicato una lunga cover story, senza dimenticare le dichiarazioni di pentimento per aver lavorato con i reietti Woody Allen e Roman Polanski.
Ammonite rischia di oscurare The World to Come, altra love story arthouse tra due donne, al momento senza data d’uscita negli States. Diretto da Mona Fastvold, in concorso a Venezia, è interpretato da Katherine Waterston e Vanessa Kirby, protagonista anche di Pieces of a Woman, visto a Toronto e al Lido, dove l’attrice ha vinto la Coppa Volpi. Acquistato da Netflix, il dramma indie di Kornél Mundruczó spunterà probabilmente tra i premi delle associazioni dei critici e, oltre a Kirby, ha nel cast altri due papabili per una nomination: Shia LaBeouf e soprattutto Ellen Burstyn, che a quasi 88 anni s’impone tra le non protagoniste della stagione.
Pieces of a WomanAltri vecchi leoni sono in corsa: si parla di Oscar per l’ottantaduenne Anthony Hopkins protagonista dell’acclamato The Father, dov’è affiancato da Olivia Colman, che dovrebbe correre come non protagonista. Categoria in cui potrebbe ritrovare Glenn Close, papabile per Hillbilly Elegy di Ron Howard (andrà su Netflix): due anni fa, alla settima candidatura in carriera per The Wife, Close perse clamorosamente la statuetta, soffiatale proprio dalla Colman di La favorita, e forse è arrivato il momento di onorare una delle attrici più importanti dello spettacolo americano.
Che fa Netflix? Dopo il successo dell’operazione Roma, nella scorsa edizione il colosso dello streaming ha dovuto soccombere: su ventiquattro candidature complessive (dieci solo per The Irishman), ha portato a casa solo l’Oscar per Laura Dern (Storia di un matrimonio), che in realtà è un premio dovuto all’autorevolezza di una stimata esponente dell’aristocrazia hollywoodiana.
Probabilmente Netflix ha capito di non poter puntare su più titoli, ma ora c’è da capire su chi intende lavorare. Punterà su Mank, biografia in b/n dello sceneggiatore di Quarto potere, che potrebbe valere il primo Oscar al regista David Fincher e un ritorno in gara del già vincitore Gary Oldman (e si parla anche di Charles Dance e Amanda Seyfried come non protagonisti)? O sul period drama Il processo ai Chicago 7 di Aaron Sorkin, con un cast stellare (Sacha Baron Cohen, Frank Langella, Joseph Gordon-Levitt, Eddie Redmayne, Mark Rylance, Jeremy Strong: tutti in corsa) e un complesso di valori sulla carta molto in linea con i gusti dell’Academy?
O Da 5 bloods di Spike Lee, il cui protagonista Delroy Lindo è già stato indicato come nome forte per la candidatura a miglior attore? Come negare una nomination per la sceneggiatura a Charlie Kauffman – e, perché no, anche alla sua attrice, Jessie Buckley – per Sto pensando di finirla qui? E The Prom, il musical che segna il ritorno al cinema di Ryan Murphy, con Meryl Streep, James Corden, Nicole Kidman e Kerry Washington? E Ma Rainey's Black Bottom, biopic di un’icona della musica black, dominato da Viola Davis pronta a combattere per il secondo Oscar e per di più interpretato dal compianto Chadwick Boseman (candidatura per lui? Solo Peter Finch e Heath Ledger vinsero post mortem, ma con due ruoli monumentali)?
DA 5 BLOODS - Credits: DAVID LEE /NETFLIX © 2020Mai come quest’anno la lotta tra le attrici pare davvero interessante. Oltre alle citate Davis, Winslet, Kirby, Streep, senza dimenticare Frances McDormand (Nomadland) lanciata verso la terza statuetta, ci sono in corsa altre due attrici afroamericane in ruoli musicali: la già vincitrice Jennifer Hudson in rentrée come Aretha Franklin (Respect) e Andra Day per The United States vs Billie Holliday. E cercano un posto in cinquina anche Michelle Pfeiffer (tre candidature andate a vuoto: ci prova con French Exit), Elisabeth Moss (il biopic Shirley), Amy Adams (non sembra essere il suo giro, ma riceverà la settima nomination della carriera per Hillbilly Elegy?), Halle Berry (a quasi vent'anni dal suo storico Oscar, è protagonista della sua opera prima come regista, Bruised).
Meno definita la gara tra gli attori: al momento si staglia tra tutti il già candidato Daniel Kaluuya, protagonista del biopic Judas and the Black Messiah, produzione all-black diretta da Shaka King la cui uscita è stata strategicamente posticipata ai primi mesi del 2021. Anche Tom Hanks tenta la scalata al terzo Oscar: uscirà il 25 dicembre News of the World di Paul Greengrass, altro titolo da tenere d’occhio per tutte le categorie. E mai sottovalutare Denzel Washington, beniamino dell'Academy, che corre verso la nona candidatura per The Tragedy of Macbeth, nuovo lavoro di Joel Coen (senza il fratello Ethan) in cui recita anche McDormand.
Poi c’è l’Italia. I candidati di ogni nazione per il miglior film internazionale devono essere decisi entro il 1° dicembre. A designare il nostro sarà l'Anica, che vaglierà le candidature pervenute entro il 12 novembre. Non sarà Notturno di Gianfranco Rosi, probabilmente, memori dell'esperienza di Fuocoammare, presentato senza successo per l'allora categoria dei film stranieri e rientrato nella cinquina dei documentari. Il documentario di Rosi è passato anche a Toronto e sarà proiettato anche a New York, Telluride e Londra, un "grande slam" che di rado capita a un film europeo. La partita è aperta: difficile dire chi possa spuntarla tra Favolacce (scelta più internazionale, con i fratelli D'Innocenzo a fare da testimonial) o Pinocchio (opzione più tradizionale: una storia nota a tutti esaltata dai valori dell'artigianato nostrano), ma sappiamo che sulla carta non potrà esserci Miss Marx (non è parlato in lingua italiana).