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– La coppa? Col pane casereccio?
– No la coppa del pizzicarolo, fija… una coppa per bevere alla mia salute.
– Aaaah, de schiumante! Subitissimo.
Confonde il bicchiere da vino con il salume, Elide Catenacci, ma è tutta colpa dell’avvocato Gianni Perego, giunto a casa per capire come salvare papà Romolo da una marea di condanne. Alla vista dell’ospite, Elide rimane imbambolata, perché con uno così non ha mai avuto a che fare: gli uomini della sua famiglia sono grassi e buzzurri, Gianni invece è slanciato ed elegante.
Elide è goffa, un po’ limitata, coniuga male i verbi, “introppa” sotto le impalcature; ma ha un cuore grande, si innamora subito e pur di stare all’altezza del marito – che in realtà è un cinico arrivista – è disposta a trasformarsi.
Così diventa (la parodia di) una signora borghese, si sgrezza con abiti da sartoria, si crea una cultura grazie a romanzi “molto tosti” come I tre moschettieri, rifiuta la porchetta perché non mangia più “idrocarburi”. Si scopre “stranita” di fronte all’Eclisse “dell’Antonioni”, si identifica nelle muse delle incomunicabilità sole di fronte all’abisso, legge “la Sagan, la Volpini” e parla da sola, confidando a se stessa che, “forse per via dell’alienazione”, sente più calore dagli oggetti che non dagli uomini. E allora cerca un modo per comunicare con i morti “che sono dappertutto”. E si chiede se, in una vita futura, potrà parlare con i vivi.
Ci riesce, una volta morta in un incidente che forse è un suicidio, chi può dirlo, apparendo al marito a bordo dell’auto sfasciata: “Sono importante per te adesso?”. E no, anche da morta non è importante per un uomo che ha amato troppo, senza mai essere riamata (“Bravo ignorante! La morte sublima. Si vede che non hai letto il Sidartha”). E poi l’epifania: “Sei tu che non sei importante, Gianni. Per nessuno: neppure per te stesso. Lo eri solo per me”.
Indimenticabile non protagonista di C’eravamo tanto amati, Elide Catenacci è uno dei personaggi (femminili) più belli, complessi, profondi di tutto il nostro cinema. L’hanno scritto tre maschi (Age, Scarpelli, Scola: chi, per inciso, sarebbe in grado oggi di indovinare un nome così preciso?) e l’ha interpretato una delle più grandi e sottostimate attrici italiane, Giovanna Ralli. Che ora, all’età di 87 anni, ha ricevuto un sacrosanto David di Donatello alla carriera.
Giovanna Ralli in Colpita da improvviso benessere (Webphoto)
Per sensibilità, grazia, raffinatezza, acume, dignità, Elide è il monumento di Ralli, che nella sua più che settantennale avventura sul grande schermo – appare bambina in I bambini ci guardano – è riuscita a guadagnarsi spazi d’azione autonomi e originali, a non fossilizzarsi in uno stereotipo, a non essere mai subalterna ai colleghi più potenti.
Certo, è stata quasi sempre il secondo – o il terzo, il quarto… – nome in cartellone dopo il divo di turno, ma è difficile trovare attrici che abbiano saputo tenuto testa con orgoglio e complicità a fenomeni come Vittorio De Sica (la battezza star in Villa Borghese, in un ruolo da ragazza romana ruspante e irruenta che le resterà addosso per tutti gli anni Cinquanta), Aldo Fabrizi (suo padre da La famiglia Passaguai a C’eravamo tanto amati) Alberto Sordi (suo grande amico e partner perfetto nel memorabile Un eroe dei nostri tempi e Costa Azzurra), Marcello Mastroianni (formano una coppia affiatata nel travolgente Il bigamo, nel dimenticato Il momento più bello, in Il marito bello e, ormai maturi, in Verso sera), Ugo Tognazzi (splendidi ne La vita agra, insieme anche in Liolà), Vittorio Gassman (Se permettete parliamo di donne e, naturalmente, C’eravamo tanto amati).
Giovanna Ralli in Verso sera (Webphoto)
Meno interessata allo star system rispetto alle altre dive della sua generazione, Ralli è una commediante di razza che volentieri spartisce la scena con le donne (Le ragazze di Sanfrediano, Le signorine dello 04, Le cameriere), sa fare macchia nelle produzioni corali (da giovane in Racconti romani, firmato tra gli altri da Sergio Amidei, che fu suo compagno e pigmalione; da signora nel senile Tutti gli anni una volta all’anno), eleva la romanità a cifra esistenziale per fatalismo e ironia.
Si apre al dramma mantenendo uno strato umoristico che è effetto del genius loci, come ben intuisce Roberto Rossellini che la vuole in Il generale della Rovere, Viva l’Italia e soprattutto Era notte a Roma. Si confronta con grandi moloch femminili, da La monaca di Monza alla Carmen di Trastevere (lei, testaccina). Osa l’inosabile proponendosi in un cupo ménage lesbico con Anouk Aimée nello spiazzante La fuga, scandaglia l'onirico ne La donna invisibile. Esplora gli States (Papà, ma che cosa hai fatto in guerra?) e il western con Il mercenario.
Giovanna Ralli fa tutto, e bene, e anche quando il cinema sembra poter fare a meno di lei, si concede poche occasioni: Una prostituta al servizio del pubblico e in regola con le leggi dello stato, Per amare Ofelia in cui battezza Renato Pozzetto, le trionfali performance di Colpita da improvviso benessere e Arrivano i bersaglieri.
Renato Salvatori e Giovanna Ralli in Era notte a Roma (Webphoto)
Negli anni più recenti, Carlo Vanzina ne celebra lo statuto matronale ne Il pranzo della domenica, vedendola come testimone della tradizione dei grandi istrioni romani, custode di uno spirito intriso di allegria e malinconia, signora di un cinema scomparso ma sempre vivo. E ora Jasmine Trinca, che l’ha convinta a tornare sulle scene dopo l’annunciato ritiro per dare corpo e anima a sua nonna nell’opera prima Marcel!. Per lei, Garinei e Giovannini scrissero il musical Un paio d’ali, in cui è Sgargamella che sogna il cinema e conquista l’amore: ecco, Giovanna Ralli ha volato.