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di Massimo Giraldi*
L’immagine che resta di Gabriele Ferzetti, morto ieri – 2 dicembre – a Roma a 90 anni da poco compiuti, è quella di un uomo forte e deciso, dai modi armoniosi e dai tratti gentili, elegante nel modo di proporsi e affascinante nello sguardo e negli occhi. Uno tutto d’un pezzo, secondo quel bon ton di vivere che ha aiutato questo Paese a uscire dalle macerie della guerra perduta. Nella capitale Ferzetti nasce come Pasquale il 17 marzo 1925 e Roma resta più che mai per lui un punto di partenza senza mai farne un totem. Qui si iscrive all’Accademia d’Arte drammatica, dalla quale poi viene espulso, e che tuttavia gli consente di apparire fugacemente per la prima volta sul grande schermo in Via delle Cinque Lune di Luigi Chiarini (1942).
È il primo titolo di una carriera vissuta da autentico protagonista, una testimonianza professionale di intatto valore, confermata dagli oltre 130 film interpretati fino al 2010 e arricchita da infinite, preziose stagioni teatrali, da una assidua quanto originale presenza televisiva. Prestante nel fisico, fin dall’inizio magnetico e seduttivo per modi e gestualità, capace di essere insieme umbratile e inquieto, Ferzetti è protagonista ideale di quelle stagioni che, dagli anni Cinquanta in poi, scandiscono i tempi della ricostruzione italiana fino agli anni del boom. Il primo titolo che lo fa conoscere è La provinciale di Mario Soldati da Moravia accanto alla emergente Gina Lollobrigida, dove da il via a quelle figure di borghesi, positivi e un po’ ingenui che provano a gettare le basi di una fascia sociale, la borghesia, fin troppo osteggiata. Il grande pubblico vuole altro ed eccolo accontentato con Puccini, 1953, e Casa Ricordi, 1954, due titoli di Carmine Gallone che fanno il pieno di spettatori desiderosi di mélo alla Matarazzo.
La grandezza di un attore si costruisce però su quella ‘diversità’ che per Ferzetti diventa un marchio di fabbrica. Eccolo nel 1955 impegnato sia ne Le avventure di Giacomo Casanova, la coraggiosa e ipercensurata (da Oscar Luigi Scalfaro) commedia leggera diretta da Steno, sia ne Le amiche, quarto film di Michelangelo Antonioni, con cui poi tornerà a lavorare per L’avventura, 1960, accanto a Monica Vitti e Lea Massari. Ma il calendario corre e il Nostro non resta indietro: eccolo in Donatella di Mario Monicelli, 1956; Nata di marzo di Antonio Pietrangeli, 1958, La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini, film di forte impatto storico e, oggi, per niente invecchiato. A partire dagli anni 60 si può navigare nella sua ricchissima filmografia del cinema di genere con punte tra Scola (L’arcidiavolo), Elio Petri (A ciascuno il suo, da Sciascia), Samperi (Grazie zia), Leone (il ruolo di mr. Ciuff Ciuff in C’era una volta il West), Montaldo (Gli intoccabili), Bolognini (Un bellissimo novembre), Lattuada (L’amica con Lisa Gastoni).
Nei Settanta i ruoli che interpreta all’estero ne confermano la felicità di scelte e la forte carica interpretativa (La confessione di Costa Gavras). Nel 1974 è nel cast de Il portiere di notte di Liliana Cavani. Nel 1987 in Giulia e Giulia, il film sulle nuove tecnologie di Peter Del Monte, nel 1997 in Porzus, in cui Renzo Martinelli, come spesso eccessivo e comunque fuori dal coro, gli affida il ruolo del partigiano Storno.
L’ultimo titolo che interpreta è Diciotto anni dopo, 2010, che è anche il primo film come regista di Edoardo Leo. Forse un passaggio di consegne con un esponente della generazione del Terzo Millennio che a Gabriele non sarebbe dispiaciuto. I ruoli passano, ma l’attore resta. Se mettiamo accanto al cinema, il teatro e la televisione, Ferzetti si è creato, e conserva, un ruolo di primo piano difficile da ignorare.
*Dell'autore è di imminente pubblicazione il libro Gabriele Ferzetti, un attore moderno (Tabula Fati Editore, 2016)