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Non c’è stato bisogno di aspettare l’imperdonabile e inevitabile evento della morte per capire quanto sia stato importante Ettore Scola nella nostra vita di spettatori e cronisti di cinema.
Da tempo eravamo abituati a considerarlo uno di noi, una presenza di rassicurante serenità e lui ci trasmetteva la sensazione di un incontro quasi “alla pari”: almeno dai film del biennio 1969-1970, Il commissario Pepe e Dramma della gelosia tutti i particolari in cronaca.
Due titoli che, al giro di boa tra due decenni dove molto sarebbe cambiato, indicavano l’immagine di un cinema che non intendeva più fermarsi a giocare con gli stereotipi della commedia ma faceva il passo verso un umorismo più acido, non accomodante, capace allo stesso tempo di essere caustico e comunque legato alla realtà. Dopo quei film, visti da spettatori in sala, l’andare a braccetto con Scola, il seguire il caotico evolversi sociale/culturale/politico a fianco della sua testimonianza, ha rappresentato una consuetudine fin troppo difficile da perdere. Perché spesso, (sempre?) la visione del film di Scola precedeva la lettura dei quotidiani, o i servizi dei telegiornali. E aiutava a capire meglio quello che era successo o era ancora in corso.
Penso a Trevico – Torino, con l’aggiunta di Viaggio nel Fiat Nam, un doc che sfidava le leggi distributive (e infatti fu confinato in sale poco sostenute), o a Brutti, sporchi e cattivi che, intorno a Nino Manfredi, agitava lo spettro di strati urbani degradati e selvaggi (altrettanto penalizzato all’uscita in sala). E forse sono questi i titoli che dimostrano oggi la vigorosa vitalità di Scola. Non tanto quelli “memorabili” (C’eravamo tanto amati, 1974; Una giornata particolare, 1977; La terrazza, 1980; La famiglia, 1986) ma quelli che già all’uscita nacquero come “minori”, pur non essendo mai stati tali: e penso a Passione d’amore (1981), coraggiosa riduzione dal racconto dello scapigliato Iginio Ugo Tarchetti; Il mondo nuovo (1982), Ballando ballando (1983), la collaborazione con Massimo Troisi. Rivisto oggi, La famiglia condensa ancora un secolo di storia, di usi e costumi nazionali, che esce dallo schermo e diventa libro, manuale, antologia di chi e come eravamo. Così dopo tanti anni e tanta nobile carriera, Scola ci lascia un’eredità preziosa e ineliminabile: quella degli inizi della carriera, il fumetto, la rivista scanzonata, il Marc’Aurelio come palestra di vita.
Alla fine, resta tutto una questione di sguardo. Che Scola ha gettato su storie e persone, chiedendoci di seguirlo, senza punti di partenza fissati o obbligati. Bacchettando, per conto nostro, chi usava furbizia e arroganza; regalando comprensione e compassione ai meno fortunati. A tutti offrendo l’ancora di salvataggio dello scherzo, dello sberleffo, implacabile via d’uscita dalle trappole della furbizia.
Cinema pulito, sobrio, incisivo e terribilmente emozionante. Anche oggi, anche domani. Scola, un regista vero, senza scadenze.