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Il confronto con la storia e la sua complessità. Agnieszka Holland, ospite del Festival del Cinema Europeo di Lecce, alla quale è dedicata una interessante retrospettiva e che questa sera riceverà l’Ulivo d’Oro alla Carriera, ha sempre avuto una visione complessa e interlocutoria della realtà, assumendo punti di vista diversi e spesso spiazzanti. Anche oggi è più che mai sollecitata dagli eventi che viviamo. Il suo discorso non può che fondere politica e cinema, anche se nella sua carriera ha accolto le enormi possibilità date dalla serialità televisiva, dirigendo episodi di The Wire, Cold Case, The Killing, House of Cards e Rosmary’s Baby. Che rapporto ha con la storia che stiamo vivendo?
“Rimanendo alla storia – precisa – la sua è una domanda vastissima. Realizzo film che parlano del passato non perché mi piace parlare del passato, ma per affrontare quegli avvenimenti che si sono succeduti nella nostra storia passata creando un legame con la nostra situazione contemporanea, così trovo sempre qualche aspetto che ci aiuta a capirla meglio. Un mio film può essere in costume, ma le domande che mi pongo e gli aspetti che affronto sono contemporanei. Non mi sento affatto nostalgica, perché mi interessa il presente con i suoi mille problemi, per generare dibattiti e discussioni”.
La scuola di Wajda, insomma.
Come ha detto la filosofa polacca Maria Janion al mio amatissimo mentore Andrzej Wajda: “Tu realizzi i film per il futuro, hai questa rara capacità”. Anch’io a volte ho la stessa impressione, di riuscire a toccare la materia filmica con la stessa attitudine, anche se i soggetti che tratto nel mio cinema sono pertinenti all’oggi o al passato. Spoor, ad esempio, che ha vinto l’Orso d’Argento all’ultima Berlinale, un mix bizzarro e strano di diversi generi – thriller, fantasy, commedia dark e dramma – e che mi è costato davvero molto tempo e fatica, è diventato immediatamente un film politico, quindi connesso alla realtà. Non lo pensavo assolutamente quando in Polonia ho abbracciato questo materiale, ma effettivamente va a toccare quella divisione della società che si è prodotta all’indomani della Seconda guerra mondiale. E questa stessa divisione è presente in tutti i temi che io affronto nel film. In un certo senso il passato, il presente e il futuro si uniscono nella realtà.
Lei è dotata, come più volte affermato da Wajda, di una particolare capacità: quella di percepire le dinamiche del presente. Stanno succedendo oggi del mondo fatti che effettivamente noi non riusciamo a comprendere subito. Crede di essere in grado di farci vedere qualcosa della nuova Europa che si sta formando, probabilmente sulle rovine della precedente?
Quasi mi sta chiedendo di essere un mix tra Papa Francesco e il Presidente Trump, che hanno visioni completamente opposte! Il primo è però cosciente che ci troviamo in un periodo molto pericoloso, di grande transizione, dove le cose accadono a grandissima velocità, dunque non si ha la possibilità di afferrare questi eventi, di comprenderli, processarli ed elaborarli. Abbiamo vissuto questo ottimismo quasi infantile e puerile alla caduta della Cortina di ferro e dei muri, dove abbiamo visto il tentativo di cambiare la situazione dei paesi dell’Est dopo il comunismo, sperando di tornare a vivere come negli anni Trenta dello scorso secolo, quando questo comportava però anche il ritorno dei demoni di quel periodo. Ma questo è impossibile, il nostro presente è completamente diverso. Ci troviamo nella situazione in cui tantissimi leader, sulla base di principi nazionalisti e populisti stanno portando avanti con forza le loro idee. Io li ho seguiti, questi movimenti, e quello che sta succedendo in Polonia, in Ungheria, negli Stati Uniti. La cosa che mi stupisce non è che ci siano leader di questo genere, ma che ci siano elettori che decidano di votarli e credere loro, che guardano a queste persone pensando che possano offrire risposte ai loro problemi. Perché questo è successo? Perché nel passato i partiti che erano al potere o all’opposizione, quelli tradizionali che abbiamo conosciuto e anche di sinistra, non sono stati capaci di fornire risposte ai problemi della gente. Oggi questo è il risultato, dovuto alla loro pigrizia intellettuale. Per tre fattori. La globalizzazione, che rende i governi incapaci di esercitare il loro controllo in molti settori, così il vero potere è nelle mani delle multinazionali e questo per i politici è davvero molto frustrante mentre i cittadini all’interno di queste nazioni, pur partecipando a grandi guadagni, sono principalmente delle vittime, pagando l’impotenza dei governanti. La reazione è stata masochista, con Putin in Russia e Kaczyński in Polonia. Il secondo è la rivoluzione informatica, che ha esercitato effetti sulle nostre vite come fece la rivoluzione industriale: il modo in cui comunichiamo sta cambiando, così come il baricentro della società. Pensavamo che la rete fosse la nuova democrazia dell’informazione, mentre invece ha organizzato la nostra società creando delle bolle che diventano una prigione, in cui non si riesce più a verificare la qualità delle informazioni, se sono vere o false, ma alle quali si attribuisce la stessa importanza. Infine, la contro-controrivoluzione: ci siamo trovati in un cambiamento così rapido da intaccare i ruoli nella società. Penso all’emancipazione femminile, che ha destabilizzato le dinamiche in cui la donna si trovava rinchiusa, come la famiglia. Oggi giustamente il suo ruolo è all’interno della società. Il risultato è la reazione dei maschi principalmente bianchi - l’esempio è ancora Trump -, che vedono intaccato il loro potere, eroso ogni giorno, anche quello che avevano nella vita di coppia. I leader populisti dicono di saper risolvere i problemi, ma non è vero: fanno soltanto finta di sapere quale sia la soluzione. Mi accorgo ora di non aver dato una risposta cinematografica, ma tutta politica. Ma il mio cinema è legato a questi temi.
Perché allora ci sono così pochi registi oggi capaci di affrontarli come lei?
È vero, pochi film lo fanno e spesso in modo superficiale, quasi fossero elementi decorativi. Questo lo si fa perché così si riescono ad attirare favori e attenzioni. È piuttosto facile sullo schermo mostrare la sofferenza delle persone, si è capaci di descrivere la paura, l’odio, di creare empatia. Anche noi che siamo più propensi ad affrontare questi temi – parlo di cineasti, autori, attori, attrici e intellettuali – lo facciamo senza davvero tentare di trovare delle risposte. Li affrontiamo spesso in modo falsato, come lo fanno i nazionalismi. Ci vorrebbe un approccio freddo, onesto, sincero, efficiente. Stiamo per avviarci in un periodo di estrema confusione. Però come Presidente della European Film Academy mi sto accorgendo che la situazione, almeno in Europa, sta cambiando, molti registi stanno diventando più politicizzati, affrontano i temi con elementi di vera e propria politica, gli sceneggiatori presentano soggetti che sono molto più politici di un tempo. Forse adesso finalmente il cinema e i cineasti stanno cominciando a rispondere responsabilmente ai problemi delle persone e della società. C’è un ma: il cinema del futuro deve trovare un anello di congiunzione tra passato e presente, un mezzo in cui passa la realtà, deve non soltanto la si descrive, ma si tenta di analizzarla.
Per questo ha in cantiere Il ciarlatano, in cui intende affrontare la stagione del socialismo reale, gli anni ’50, in Cecoslovacchia.
Ho tre progetti sui quali sto lavorando, ma non so quale dei tre sarà il primo ad essere realizzato. Girerò Il ciarlatano in Repubblica Ceca, non ho bisogno di trovare star internazionali, quindi il budget è contenuto, per questo è il progetto che realizzerò più facilmente.
Spesso nei suoi film è affiancata da sua figlia.
Ho co-diretto alcuni film con Kasia e in alcuni le ho chiesto di dirigere alcune scene, proprio perché in lei riesco a vedere il talento e l’ispirazione, molto simile alla mia. Se fosse per me lavorerei sempre con lei, però lei non sempre desidera lavorare con me. Lei è uscita nelle sale poche settimane fa con il suo ultimo film, Amok, che andrà al Festival di Edimburgo. Ma nella famiglia abbiamo altre registe: la sua partner, che avrà a breve il suo esordio cinematografico, e mia sorella Magdalena. Siamo molto fortunate e spesso lavoriamo insieme.
Curiosità finale: in questo mese di aprile due suoi colleghi italiani famosi, registi di cinema, sono impegnati nell’allestimento di due opere liriche: Gabriele Salvatores alla Scala per La gazza ladra di Rossini e Marco Bellocchio al Teatro dell’Opera di Roma per Andrea Chénier di Giordano. Non è mai stata tentata anche lei?
Il mio ex marito è uno dei più importanti registi d’opera polacchi, quindi ho avuto contatti frequenti con il teatro lirico, un rapporto d’amore e di curiosità. Ascolto e guardo spesso l’opera. Ma non è sicuramente il mio mezzo d’espressione, più volte mi sono state offerte regie, le ho declinate: so che non sarei una brava regista in questo campo.