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La vita oscena
Un oggetto alieno è atterrato alla scorsa Mostra di Venezia (Orizzonti): La vita oscena di Renato De Maria. Corpo luminoso non identificato di psichedelica bellezza, fatto apposta per essere amato o detestato senza mezzi termini. Gli aggettivi carino o al contrario modesto non gli si confanno nel modo più assoluto. E per fortuna. La vita oscena non è un film esangue, a cominciare dalla storia che racconta per finire a come la racconta, cioè con uno stile originale ed esteticamente sfavillante.
La vicenda ricalca quella largamente autobiografica dello scrittore Aldo Nove dal cui romanzo omonimo è tratta, di un ragazzo strappato a un'adolescenza tranquilla e piena di amore a causa della prematura morte prima del padre e poi della madre. Da questo momento comincia per lui una discesa agli inferi che non è però un lento cupio dissolvi, quanto piuttosto un febbrile desiderio di esperire l'esistenza nei suoi lati oscuri dopo averne assaporato la dolcezza e l'armonia. Il protagonista, straordinariamente interpretato dal Clément Métayer di Après mai, prova a farsi disintegrare da un eccesso di esperienza, ma il ricordo dell'amata madre - un'intensa e gioiosa Isabella Ferrari - e del padre - un giustamente tenero Roberto De Francesco - non gli permetterà di affondare.
Osceno? Dell'oscenità propria dell'adolescenza quando vissuta senza inibizioni. Eccessivo? Sicuramente, ma l'eccesso qua è anche se non soprattutto forma. Torbido? Forse, se questo significa raccontare ogni lato della vita - cosa che il regista fa senza mai emettere un giudizio. Perfetto? No, ma la perfezione avrebbe fatto a schiaffi con l'incandescente cuore del racconto.
La vita oscena è un film fortemente anomalo nel panorama italiano. Personale e visionario. Un alieno, appunto. E che lo si ami o no, impossibile non apprezzare i rischi che De Maria si è preso persino a livello estetico e di contenuto. Come impossibile non apprezzare il linguaggio maturo, cui regalano un contributo essenziale le musiche di DeProducers e la fotografia materica di Daniele Ciprì.
(edit: recensione pubblicata il 28 agosto 2014, in occasione della Mostra di Venezia)