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Si è tenuto oggi, venerdì 11 settembre, alle ore 11.00 presso lo Spazio FEdS (Sala Tropicana 1, Hotel Excelsior), il convegno “Fellini e la cultura cattolica. Il caso La dolce vita attraverso gli archivi audiovisivi”. In occasione della 77esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nell’anno del centenario dalla nascita di Federico Fellini, la Fondazione Ente dello Spettacolo continua la riflessione sull’eredità artistica dell’opera del grande regista italiano, concentrandosi in particolare sulla ricezione da parte della cultura cattolica del suo film più iconico: La dolce vita.
In occasione del doppio anniversario (i cento anni del regista e i sessanta del capolavoro), “Fellini e la cultura cattolica” si pone l’obiettivo di rievocare e analizzare quel momento epocale attraverso documenti d’epoca e materiali d’archivio, a partire da una ricerca realizzata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Nel corso del convegno, moderato da Gianluca Arnone (coordinatore editoriale FEdS), sono intervenuti Massimo Scaglioni (professore di Economia e marketing dei media dell'Università Cattolica di Milano), Padre Antonio Spadaro (Direttore de La Civiltà Cattolica), Andrea Minuz (Professore associato di Storia del cinema presso l’Università La Sapienza di Roma, giornalista de Il Foglio), Giuseppe Pedersoli (regista del documentario La verità su La dolce vita, presentato Fuori Concorso alla 77esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia), Oscar Iarussi (giornalista e critico).
“Quello de La dolce vita – ha spiegato Massimo Scaglioni – è uno dei casi più interessanti da studiare: il nostro lavoro si è concentrato sui documenti d’epoca e in particolare sulle fonti audiovisive. Il film è apparso nel 1960, un anno spartiacque in cui assistiamo a un cambiamento dell’atteggiamento contenutistico-morale della cultura cattolica nei confronti del cinema. Da parte dei gesuiti milanesi, infatti, possiamo osservare un approccio più complesso, dovuto alla complessità di un film come La dolce vita non è un film semplice: i gesuiti del San Fedele lo accolsero in modo unanimemente positivo, sottolineando il nel raccontare lo stile di vita di un certo ceto sociale".
Massimo Scaglioni - foto di Margherita Bagnara“Questo film ha fatto litigare i gesuiti – ha ricordato Padre Antonio Spadaro – e se restiamo nel campo della critica cinematografica non capiamo la vera questione che pone al mondo cattolico: la grazia, una questione squisitamente teologica. Uscendo dalla critica possiamo capire la radice del conflitto che in quegli anni si sviluppa attorno alla visione di Dio. E attorno al film si sono concentrate tensioni che poi sono esplose poderosamente quando i gesuiti sono entrati in conflitto”.
“Furono accusati di pressioni comuniste – ha aggiunto Scaglioni - con un corsivo non firmato L’Osservatore Romano si scagliò contro il film e i suoi sostenitori cattolici, manifestando preoccupazione in merito all’impatto sul pubblico. Lo stesso Cardinale Giuseppe Siri distinse tra la fruizione delle persone consapevoli e quella del pubblico di massa”.
“La grande intuizione del film fu colta da Padre Nazareno Taddei, che individuò nell’apertura con Cristo e nella chiusura con Paolina la chiave di lettura” ha ricordato Padre Spadaro, che successivamente ha rievocato la posizione della rivista da lui oggi diretta nella battaglia sul capolavoro felliniano: “Padre Enrico Baragli, critico della Civiltà cattolica, agì su tre linee per penalizzare il film: negarne il realismo, negare non tanto la presenza di un problema religioso ma condannare le modalità con cui lo esplicita, negarne il valore educativo. Baragli era un uomo fine ed intelligente e quindi si preoccupò di segare alla base ogni possibilità di interpretare il film in chiave religiosa. Osservò anche nel film era assente la prospettiva salvifica a differenza di quanto previsto dalla sceneggiatura pubblicata, dove c'era finale carico di speranza. Il finale effettivo, invece, trascolorava in definitiva il trionfo del male. Fu Padre Virginio Fantuzzi a interpretare finalmente il film, reputandolo sì inquieto ma non inquietante”.
Sulla particolarità della ricerca scientifica, Scaglioni ha affermato: “Negli archivi della Rai non ci sono riferimenti alla Dolce vita fino alla vittoria della Palma d'oro. Abbiamo trovato un’intervista di Piero Mazzarella in cui Federico Fellini non fa nessun riferimento alla politica ma chiede attenzione alla fruzione da parte del pubblico. Il più bel contributo trovato è quello di Padre Angelo Arpa, che del film di Fellini aveva elogiato l’umanesimo profondo e sincero”.
Giuseppe Pedersoli, nipote di Giuseppe Amato, produttore de La dolce vita, ha presentato Fuori Concorso a Venezia il documentario La verità su La dolce vita: “L’idea che un uomo devoto e scaramantico come Amato – ha osservato - abbia collaborato e litigato con Fellini, artista poliedrico e meno ortodosso, è commovente. Il film ha rappresentato per lui un’avventura anche drammatica e le cose che all’epoca furono condannate dalla censura oggi sono più accettabili di allora. Non sono moralista ma oggi mi offende più Mastroianni, alter ego di Fellini, che cavalca una donna da ubriaco più dello spogliarello che all’epoca fece scandalo”.
Giuseppe Pedersoli - foto di Margherita BagnaraDocente e critico, Andrea Minuz ha scritto il saggio Viaggio al termine dell’Italia. Fellini politico: “I film di Fellini mettono gli italiani di fronte a se stessi, trasformando l'inconscio italiano in qualcosa di universale grazie all’utilizzo di un dispositivo artistico non immediatamente leggibile. Un gioco di specchi con la civiltà occidentale”.
Autore del saggio Amarcord Fellini. L’alfabeto di Federico, Oscar Iarussi è tornato a ragionare su quello che ritiene un capolavoro inesauribile: “Un film innovativo fino a quasi all'incomprensibile, che all’epoca fu visto da più di un italiano su cinque, un risultato oggi totalmente inconcepibile”.
“Vorrei fare una provocazione – ancora Minuz - dicendo che non c’è quasi bisogno di vedere i film di Fellini: l’assenza di Fellini nei palinsesti televisivi e nei cataloghi delle piattaforme indica che non c'è domanda della sua opera. E tuttavia Fellini si respira ovunque, in un Paese diventato in gran parte felliniano nell'accezione peggiore del termine”.
E ha concluso Iarussi: “Nessuno come Fellini ha fornito così tante parole al lessico italiano: La dolce vita non è solo un film amarissimo, che coglie nel mosaico del boom economico un presagio maligno, ma anche l'opera d'arte più rilevante della seconda metà del XX secolo”.
Oscar Iarussi - foto di Margherita BagnaraDichiara Mons. Davide Milani (Presidente FEdS): “Abbiamo messo il dito in una ferita che difficilmente si può ritrovare nel corso della storia culturale del Novecento. L’apparizione de La dolce vita ha sconvolto il mondo cattolico, facendo evocare da più parti termini gravi come ‘scomunica’. La ricerca scientifica promossa dall’Università Cattolica del Sacro Cuore ha approfondito questa vicenda deflagrante andando al di là della cronaca giornalistica, ricostruendo i passaggi e le ipotesi che hanno provocato e generato un caso cinematografico e artistico che si è rivelato anche un incidente ecclesiale, sociale, comunicativo, civile. Un incidente da cui, tuttavia, è nata la moderna critica cattolica, nel cui solco continua ad agire con puntualità e competenza la Rivista del Cinematografo. Siamo felici che questo incontro – che si inserisce nella ricca proposta critico-culturale sull’opera di Federico Fellini che la FEdS sta portando avanti nell’anno in cui si celebra il centenario dalla nascita del maestro – si sia svolto nell’ambito della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e cogliamo l’occasione per ricordare il prossimo appuntamento in programma durante la Milano Movie Week: mercoledì 16 settembre, alle ore 20:00: un momento cui saremo ancora una volta accanto all’Università Cattolica per approfondire i temi affrontati oggi nel convegno e rivedere sul grande schermo, in tutto il suo nitido splendore, il capolavoro di Fellini”.