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“Franco rifugge la platea, non è a suo agio, sfoga i malesseri nel lavoro, dorme troppo poco. Non è qui per motivi privati, sofferenza individuale, chiamiamola pure depressione”, dice il produttore Rean Mazzone. “E’ uno snob, che snobba tutti quanti”, dice tra serio e faceto la fotografa Letizia Battaglia, occasionalmente attrice. Fatto sta che Franco Maresco non è a Venezia per accompagnare il suo ultimo film, La mafia non è più quella di una volta, in lizza per il Leone e dal 12 settembre in sala con Istituto Luce-Cinecittà.
“Il film di Maresco l’ho sposato, ma ho le mie idee: mi piace sia feroce, non sono d’accordo su certe cose, per me è anche un po’ troppo lungo”, premette la Battaglia.
Poi, prende posizione sulla polemica che si sta alzando in finale di Mostra: dando conto della sentenza del processo sulla cosiddetta ‘trattativa’ Stato-mafia, La mafia non è più quella di una volta sottolinea il silenzio sull’argomento del capo dello Stato, che l’impresario Ciccio Marra addebita al fatto che “i palermitani ce l’hanno nel Dna il silenzio”. Per la Battaglia “è una cosa evidente, Mattarella non ha fatto alcun intervento al riguardo, ma non c’è alcuna polemica, a meno che non la inventiate voi giornalisti. Mattarella è molto perbene, ma non ci fu un suo intervento sulla sentenza: non so perché, forse non voleva entrare in polemica”.
Nel film, l’ambiguo Ciccio Mira rivela anche come il proprio padre votasse per Bernardo Mattarella, ovvero il genitore dell’attuale presidente della Repubblica: “Io – dice la Battaglia - sono stata deputato e ho scoperto di avere preso voti da gente di mafia, ripeto, per noi Mattarella è stimabile, un buon presidente”. E conclude: “Mattarella è raccontato, tirato in ballo da Ciccio Mira, che è debole, fragile, ma non innocente”.
Sulla mafia oggi, poi, la Battaglia osserva come “il film fa vedere la decadenza, la meschinità del pensiero mafioso”, Mazzone evidenzia come “oggi un ‘no alla mafia’ possa pensare di dirlo anche Ciccio Mira” e come ci siano “zone limitrofe tra mafia e antimafia, basti pensare alla deriva degli ultimi anni dell’antimafia”.
Al riguardo, la Battaglia però respinge quel che si potrebbe definire un senso di scoramento serpeggiante nel film: “Al processo parti dello Stato sono state condannate e io mi sono sentita felice finalmente, una felicità nuova. La corte ha condannato parti dello Stato resesi responsabili dell’ignoranza dei cittadini: Andreotti, sette volte primo ministro, era colluso con Salvo Lima, poi ammazzato dalla mafia”. La felicità viene dal fatto che “oggi questo pensiero si sta sfaldando, sono rimasti i personaggi deboli, socialmente e intellettualmente, a dire no alla mafia”.
Se Mazzone attribuisce al film “l’osservazione di una volontà contraddittoria, il pensiero sciasciano di Franco e l’ottimismo di Letizia”, la Battaglia ritorna stigmatizza come “oggi la mafia è elegante, profumata, manda i figli in college in Svizzera: i boss di una volta non si godevano la ricchezza, oggi la mafia è dentro la politica, le istituzioni. Una volta ammazzavano cento persone, oggi ne ammazzano un milione, da Berlusconi in poi, negli ultimi 20 anni”.
Ma dove sta la mafia? “E’ ovunque, in Parlamento, e non so da che parte. Oggi – conclude la Battaglia - la mafia è un'altra, è diventata intelligente, ha fatto la trattativa con lo Stato che ha funzionato, sicché non ci hanno ammazzato più: dopo don Puglisi, non ha più ucciso magistrati. Oggi la mafia costruisce hotel nel mondo con i soldi del riciclaggio, complice una società di merda che si droga”.