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“Non è una storia vera, nel senso che non è tratta dalla reale vicenda di questa ragazza. Questo film non è come A Ciambra, anche se a recitare con la protagonista c’è la sua famiglia reale, i rapporti tra di loro sono veri, inseriti però in una struttura narrativa inventata, che ho scritto io. Basata su una realtà che viviamo quotidianamente”.
Jonas Carpignano torna a Cannes per la terza volta, al terzo lungometraggio diretto. Dopo Mediterranea (2015, alla Semaine de la Critique) e A Ciambra (2017), il regista italo-americano è ospitato nuovamente alla Quinzaine des Réalisateurs con A Chiara, terzo capitolo di una trilogia ambientata nella “sua” Gioia Tauro, in Calabria.
A Chiara di Jonas Carpignano“Oramai mi sento parte di questo universo, dovrei fare The Avengers con tutti loro – scherza Carpignano – anche se credo sia giunto il momento per me di raccontare altre storie. Di certo ci tornerò, e quando sarà sicuramente li coinvolgerò nuovamente per qualche altro film”.
Quattro anni dopo A Ciambra, incentrato sulla figura dell’adolescente Pio Amato e sulle dinamiche quotidiane della comunità rom di cui fa parte, il regista questa volta “inventa” una storia, quella della famiglia Guerrasio (interpretata dall’intera famiglia Rotolo): il marito Claudia e Carmela e le tre figlie, con la mediana Chiara (Swamy Rotolo), quindici anni, che all’improvvisa scomparsa del padre inizia a indagare sui motivi che lo hanno spinto a lasciare Gioia Tauro. Più si avvicinerà alla verità, più sarà costretta a riflettere su che tipo di futuro vuole per sé stessa.
“Vivo a Gioia Tauro da dieci anni, non appena arrivato lì due migranti africani erano appena stati aggrediti e quell'episodio ha segnato l'inizio di violenti scontri che ho filmato in A Chjàna, il cortometraggio che ho realizzato prima di Mediterranea. Successivamente – continua Carpignano – ho incontrato Pio e la comunità rom che ho raccontato, più tardi, in A Ciambra".
"All'inizio non avevo affatto in mente l'idea di fare una trilogia, volevo solo filmare gli scontri razziali, ma ben presto ho capito che volevo realizzare tre film su tre aspetti di questa città. Il primo era la comunità africana dei migranti, il secondo era la comunità rom un tempo nomade, ma divenuta completamente sedentaria e insediata in un quartiere particolare della città. Infine, la ‘malavita’, le persone coinvolte nell'economia sotterranea creata dalla mafia. Gioia Tauro è un microcosmo che fa parte di un più ampio contesto sociale ed economico, il mondo globalizzato. Eppure, io sono convinto che per esprimere un concetto universale sia necessario entrare nel dettaglio, essere intimi e locali”.
Già apparsa brevemente in A Ciambra, Swamy Rotolo interpreta la Chiara del titolo: “Quando l’ho saputo non volevo farlo, non avevo mai lavorato nel cinema, anche se avevo fatto una piccola parte nel film precedente di Jonas. Ora è un percorso che mi piacerebbe proseguire. Anche se devo ancora imparare molte cose”, dice la giovane attrice, che in merito al personaggio spiega: “Chiara è molto coraggiosa, per certi versi sento che è un ruolo che mi appartiene, abbiamo un carattere molto simile. E probabilmente reagirei al suo stesso modo”.
Swamy Rotolo in A ChiaraAnche se, rispetto alla legge che prevede la sottrazione dei minori ai genitori mafiosi, aspetto anche questo al centro del film, Swamy Rotolo afferma: “Conosco persone che hanno vissuto questa realtà, non so quanto sia giusto che le istituzioni tolgano i figli alle proprie famiglie se un genitore fa cose sbagliate”.
Sull’argomento interviene anche Carpignano: “Il concetto di voler spezzare questo ciclo impedendo così ai figli di prendere la stessa strada dei genitori è fondamentale, ma la legge probabilmente non prende in considerazione l’aspetto emotivo di una scelta del genere, quello di sradicare i figli dalle proprie famiglie. Uno può essere uno spacciatore, ma anche un padre che ama la sua famiglia. Non possiamo solo definire le persone per quello che fanno, perché non sappiamo mai in profondità chi sono e quali opzioni hanno. Forse è un meccanismo che va rivisto”.
Quello che emerge con forza nel film però è la possibilità di una scelta: “Non abbiamo mai raccontato la Calabria come luogo arcaico, con le donne vestite di nero o nascoste dai foulard. Secondo me i giovani di oggi, rispetto al passato, possono scegliere”.
Quel che è certo, però, è che in alcune zone depresse “dove non ci sono mezzi, dove non arriva lo stato, arrivano altre cose, ovvero la mafia. È molto facile giudicare le persone senza sapere quali altri opzioni hanno, ammesso le abbiano”, dice ancora il regista, che spiega così la frase pronunciata ad un certo punto dal padre di Chiara nel film: “Per loro la mafia è ricchezza, per noi è sopravvivenza”.
A ChiaraFrase che in qualche modo smitizza le molteplici narrazioni di finzione sulla malavita: “Non ho mai visto una sparatoria da quando sono lì. Certo, non si può negare che non esistano alcune cose, ma non nella forma che vediamo nelle fiction o in narrazioni preconfezionate. Quando la gente pensa al traffico di droga si immagina le ricchezze di Escobar, ma i ricchi non si sporcano le mani, qui si parla della manovalanza, sono queste se vogliamo le persone che io posso incontrare a Gioia Tauro. La ‘ndrangheta vera è quella dei piani alti, loro sono semplicemente lo strumento nelle loro mani”.
Prodotto da Stayblack con Rai Cinema, Haut et Court, Arte France Cinéma e con il contributo del Ministero della Cultura, con il sostegno di Eurimages, CNC, A Chiara sarà distribuito prossimamente nelle sale italiane da Lucky Red, in collaborazione con Academy Two.