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Ai nastri di partenza la nuova edizione di Integrazione Film Festival, rassegna cinematografica di corti e documentari di Bergamo e Sarnico (BG) dedicata al tema dell’integrazione.
Testimonial d’eccezione di quest’anno è Yoon Cometti Joyce, nato in Corea nel 1975 e adottato da una famiglia bergamasca a soli tre mesi: oggi attore di calibro internazionale, ha collaborato in oltre 40 film con registi e attori quali Martin Scorsese, Leonardo Di Caprio, Ridley Scott e tanti altri ancora.
Tra i film in concorso nella sezione Documentari, My Tyson (2018), per la scrittura e regia di Claudio Casale. Il cortometraggio di non-fiction è stato selezionato per il Bando MigrArti della 75° Edizione del Festival di Venezia e ha conquistato il Premio al Miglior Documentario.
Osserviamo attraverso gli occhi del regista la vita di Tyson Alaoma, attuale campione del campionato italiano di boxe, categoria Pesi Youth. Inquadrature fisse fanno di tutto per non invadere una storia che, già di per sé, mostra grande potenziale narrativo.
“Siamo stati mesi con lui senza girare niente” ci confida il regista. “Da gennaio a maggio, soltanto a osservare e ascoltare. Prima dovevamo superare i nostri stessi limiti, in ambiti quali l’adolescenza, la boxe e la comunità nigeriana di Tor Bella Monaca.”
La camera è arrivata dopo, in modo spontaneo e naturale. Da una parte, con rapide occhiate al quotidiano di Tyson: chiacchierate tra amici, allenamenti e, ultimo ma non meno importante, incontri di pugilato. Dall’altra, il racconto intimo di sua madre, nigeriana trasferitasi in Italia alla ricerca di un nuovo inizio, ma destinata a riconoscere l’importanza delle proprie radici nell’affrontare un cammino di gravi difficoltà.
A proposito, aggiunge Casale: “Originariamente, il dialogo con la madre di Tyson doveva essere un’intervista di sopralluogo. Ma ci siamo accorti subito, dall’emozione che ne scaturiva, che la storia era anche lì.” E ancora, “È così che scegliamo una storia, seguendo l’emozione. Conta più del calcolo e dell’attualità. E poi la vita vera è sempre attuale.”
Tyson, combattente nato, è l’anello di congiunzione delle due sfere narrative, quella polverosa, tremante e osservata dal vivo, e quella descrittiva e più onirica, un diario materno di viaggio lungo una vita. La specularità tra madre e figlio è anche confine sfumato tra realtà e spiritualità, confine spesso tralasciato, ma fondamentale, nell’esplorare l’odierna integrazione.
“Cosa resterà di queste migrazioni alle generazioni future? Come saranno raccontate? Abbiamo cercato di fotografare in 15 minuti un lungo percorso intergenerazionale.”
Riemerge così, nelle parole del regista e nelle immagini del documentario, una necessità universale: persino il più forte e determinato dei pugili, persino Tyson Alaoma, ha bisogno di un’identità che respiri nel tempo, tra passato, presente e futuro.