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Mentre La grande bellezza trionfava agli Oscar europei di Berlino e i giornali italiani ricamavano sull’evento come nemmeno Erodoto dopo la battaglia di Maratona, Paolo Sorrentino si trovava a Marrakech in compagnia di Martin Scorsese per consacrare un altro talento del cinema italiano, Andrea Pallaoro, regista di Medeas. Era la fine del 2013.
Ricevere un premio alla regia da una giuria composta tra gli altri da Scorsese, Sorrentino, Fatih Akin e Park Chan-wook è come ottenere la patente di guida direttamente dalle mani di Vettel, Alonso ed Hamilton. Notevole, no? Se poi il premiato è anche un giovanissimo regista italiano (classe ’82) al suo esordio nel lungometraggio, “notevole” dovrebbe essere anche “notiziabile” per la nostra stampa di settore. Accadeva invece che uno dei talenti più cristallini che l’Italia abbia prodotto negli ultimi anni (con Minervini e Frammartino) non meritasse neppure un trafiletto a fondo pagina. Succedeva inoltre che, nonostante l’investitura di Scorsese e Sorrentino, il suo bellissimo Medeas non trovasse neppure mezzo distributore in Italia. Il che dà adito ai peggiori sospetti sul cinema tricolore, come quei campionati truccati che non si vincono solo sul campo “La vera ragione non la conosco – dice Pallaoro, ormai da anni trasferitosi a Los Angeles - ma comprendo che distribuire un’opera prima possa essere rischioso. Sono però convinto che anche in Italia esita un pubblico interessato a questo tipo di cinema. Lo dimostra il fatto che tutt'oggi ricevo innumerevoli messaggi da italiani che mi chiedono notizie sulla circuitazione del film. Che dire? Io ci spero ancora”.
Andrea Pallaoro riceve il Premio alla Regia da Paolo Sorrentino al Marrakech International Film FestivalLa storia di Pallaoro, trentino di origine ma americano d’adozione, somiglia e non poco a quella di Roberto Minervini. Talenti italiani che fruttano altrove. Perché hai deciso di trasferirti negli Stati Uniti?
A 17 anni sono partito per il Colorado a fare l’ esperienza del quarto anno di studio all’ estero. Non sapevo che non sarei più tornato. Quell’ anno è stato estremamente decisivo nella mia formazione. Mi sono iscritto all’Hampshire College del Massachusetts dove mi sono laureato in cinema, dopodiché mi sono trasferito a Los Angeles per seguire il master in regia cinematografica al California Institute of the Arts. Los Angeles mi ha conquistato immediatamente. Il primo cortometraggio che ho realizzato, Wunderkammer, ha partecipato a molti festival e vinto numerosi premi, dandomi la possibilità di conoscere molti dei miei attuali collaboratori. Questo è stato l’ inizio.
Oggi vivi e lavori a Los Angeles, la città del cinema. Non male come proseguimento.
Assolutamente! Los Angeles è una città straordinaria che, giorno dopo giorno, continua a sorprendermi. E’ un posto “nascosto”, magico, complesso e stimolante, dove si respira un profondo senso di libertà. Non posso dire di sentirmi parte di una precisa cerchia di film maker locali, ma lì frequento artisti di varie discipline e passo il mio tempo libero nella ricerca e nell’osservazione.
Sul set di MedeasRicerca e osservazione: a giudicare da Medeas, sono anche le linee-guida del tuo cinema.
Mi interessa esplorare la natura umana attraverso un linguaggio poetico. Lo definirei un cinema minimalista in cui la narrativa scaturisce dall’osservazione dei personaggi e del loro mondo circostante; un cinema motivato principalmente da impulsi estetici, sensoriali, percettivi, emotivi. Più che al meccanismo di causa ed effetto, credo alle percezioni e alle emozioni soggettive come chiavi di accesso alle storie che propongo. Solo così il singolo spettatore è libero di interpretare, vivere, e comprendere individualmente le immagini e i personaggi.
Con Catalina Sandino Moreno sul set di MedeasChi sono i tuoi maestri?
Sono molti. Bela Tarr, Lucrecia Martel, Tsai Ming Liang, Michelangelo Frammartino, Ingmar Bergman… Il mio punto di riferimento principale resta però Michelangelo Antonioni. I suoi film ed il suo linguaggio cinematografico hanno ancora un fortissimo potere catartico e sono indubbiamente fonte di grande ispirazione e stimolo.
Parlaci di The Whale, il tuo nuovo progetto, che ha già un’interprete d’eccezione…
The Whale osserva Hannah, un personaggio scritto per - e interpretato da - Charlotte Rampling, in un momento di forte crisi. Preferisco non parlare della trama. Posso solo dire che è un film che mira ad analizzare il tormento interiore della protagonista: una donna che scompare; una donna che, afflitta dal dubbio e dalla perdita, non riconosce più se stessa.
Come hai convinto la Rampling?
Ho incontrato Charlotte a Parigi poco più di un anno fa, dopo averle inviato la sceneggiatura di The Whale ed una copia di Medeas. Era molto interessata. Quell’incontro è servito a superare gli ultimi dubbi. Sono convinto che sarà un’esperienza molto significativa per me. Lo sguardo di Charlotte è unico, penetrante e disarmante al tempo stesso. Non vedo l’ ora di fotografarlo. Ci stiamo organizzando per iniziare a girare in Belgio a metà ottobre per la durata di sei settimane.
Charlotte RamplingSo che nel frattempo stai lavorando ad altri due progetti. Quali?
Uno è Salon de Belleza tratto dall'omonima novella di Mario Bellatin. E’ un testo che mi folgorò e che sento molto vicino. Stiamo progettando di girarlo in Havana. Del secondo progetto, che per ora e’ intitolato Monica, non penso di poterne ancora parlare.
Nel futuro di Andrea Pallaoro c’è più America o più Italia?
E' ormai evidente che mi stia stabilendo sempre di più a Los Angeles, ma ciò non significa assolutamente che la mia vita professionale e i miei futuri progetti cinematografici siano limitati agli USA. Mi piacerebbe molto ambientare uno dei miei prossimi progetti in Italia ed ho la sensazione che questo succederà prima o poi.
Come lo vedi il tuo paese da laggiù?
Un paese bellissimo con il quale sento un fortissimo legame. Sono fiero di essere italiano ma non posso non ammettere la percezione del forte degrado culturale e sociale che sembra caratterizzare sempre di più il futuro del paese. Questa cosa mi rattrista molto.