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In nomine Satan
Diviso tra un'autorialità da esportazione e un'autarchia da commedia, il cinema italiano ha da tempo rinunciato a cimentarsi con generi popolari come il thriller e l'horror - che pure erano stati il suo fiore all'occhiello fino agli anni '70 - e a confrontarsi con quello sterminato bacino di storie che scaturiscono dalla cronaca nera, di esclusiva pertinenza ormai di untuosi programmi televisivi. Peccato, perché dietro la stanca casistica di fatti e misfatti, carnefici e vittime, si cela l'ignominiosa storia del paese, il suo volto più truce e sommerso, sinistro e rivelatore. La faccia deforme del popolo italiano.
Le poche eccezioni andrebbero salutate con favore, indipendentemente dai risultati, come nel caso di In nomine Satan. Prodotto da Stefano Calvagna, anche attore nei panni del procuratore protagonista, e diretto da Emanuele Cerman (Rabbia in pugno), il film porta per la prima volta su grande schermo (ma il progetto era stato inizialmente pensato per la tv) la vicenda delle Bestie di Satana, il gruppo satanista responsabile tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2000 di una serie di efferati delitti nel varesotto. Secondo la BBC “l'evento più scioccante della storia d'Italia del dopoguerra”.
Della cronaca la sceneggiatura conserva nomi (sia pure distorti: Pizzi e Masini diventano Pozzo e Maselli, Volpe diventa Lepre, Chiara Marino Sara Martino, Fabio Tollis Flavio Lolli, etc..) e fatti (l'uccisione di Mariangela Pezzotta, l'esecuzione di Tollis e della Marino, il suicidio indotto di Andrea Bontade), ma ne abiura la forma, optando per una messa in scena onirica, erratica, sballata, sbagliata persino, comunque lontana dalle ricostruzioni romanzate di stampo televisivo.
Tra simboli esoterici (bafometti, rose rosse e stella a cinque punte), figure lynchiane (il nano luciferino impersonato da Fabiano Lioi) e secche narrative, In nomine Satan ha il merito di cercare una verità “non processuale” su questa sconcertante vicenda e il problema di non trovarne una soddisfacente: chi sono queste “bestie”? Esecrabili satanisti, tossici fuori di testa o crudeli mentecatti? E se fossero solo marionette della bestia, gli utili idioti del puparo, il diavolo?
Qualunque sia la tesi, lo svolgimento è più delirante che conturbante, modesto di mezzi (il digitale è ai suoi minimi) e d'inventiva, difettoso soprattutto negli interpreti, la cui recitazione dilettantesca inibisce qualsiasi tentativo d'empatia.
E se l'assenza di un chiaro punto di vista potrebbe persino apparire intenzionale (congeniale a una ricostruzione che autorizza diverse letture possibili), la mancanza di sostrato umano - ovvero di quella pellicola porosa, psicologica e affettiva, che consente allo spettatore di scivolare dentro il film e di entrare in sintonia con quanto gli mostra e racconta - è invece meno scusabile. E dovrebbe inficiare il buon esito in sala di un'operazione nata con le migliori intenzioni.