Che il cinema italiano sia un carrozzone foraggiato dallo Stato e dunque da tutti noi, è un assunto tutto da dimostrare. Proviamo a vederci un po' più chiaro e a capire se le ultimissime polemiche scatenatesi in occasione della Mostra del Cinema di Venezia poggiano su fondamenta credibili o meno. Un dato inoppugnabile sancisce, negli ultimi anni, una crescita costante del settore cinematografico nostrano, con la quota di mercato dei film italiani passata al 30% dal 12% sul totale degli incassi, e con il numero di biglietti venduti per i prodotti italiane saliti da 10 a 30 milioni: in totale, gli investimenti complessivi in produzioni sono raddoppiati. Parallelamente, l'ammontare degli investimenti statali negli ultimi quattro anni è sceso dal 40% al 20%, inscrivendo il cinema italiano in una dimensione in larga misura privata, dove comunque i risultati dei film finanziati dallo Stato, per un massimo del 50%, sono stati complessivamente buoni, sia artisticamente che finanziariamente. C'è anche da sottolineare che si cominciano a preferire progetti imperniati sulla territorializzazione e su incentivazioni fiscali, piuttosto che sul 20% di finanziamento del Fus: progetti gestiti localmente sul modello delle cinematografie tedesca, inglese e francese. I problemi, per l'industria cinematografica italiana, sono diversi, dalla pirateria alle sale all'accesso per i giovani, ma è in buona misura attraverso il mercato che determinate difficoltà dovrebbero essere affrontate e magari risolte, dando contestualmente lo scettro del potere quasi esclusivamente alle persone che scelgono di frequentare le sale cinematografiche.