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O Gebo e a Sombra
Il vecchio contabile Gebo (Michael Lonsdale) è inghiottito da un'ombra: quella del mistero di cui è avvolta la scomparsa del figlio João (Ricardo Trêpa) - è un ladro? vive di espedienti?-, quella della menzogna, condivisa con la nuora Sophie (Leonor Silveira), spesa per proteggere dal dolore Doroteia (Claudia Cardinale), moglie-madre che piange un'assenza lunga anni. E l'ombra sfuma lungo le quattro mura della stanza, unico spazio diegetico - ad eccezione di una strada antistante - in cui si consuma la comédie humaine di De Oliveira. L'ombra è un crepuscolo, che avvolge tutti gli astanti intorno al tavolo - la vicina di casa Candidinha (Jeanne Moreau) e il regista teatrale Chamiço (Luìs Miguel Cintra) -, e tutti insieme, ultimi sopravvissuti di un passato antidiluviano, diventano spettatori di ciò che sta fuori, nel mondo. Mentre lì dentro, in un'atmosfera da Kammerspiel, il tempo è sospeso nel susseguirsi dei long takes, in attesa che qualcosa accada, che il figlio torni, che la verità prenda luce (caravaggesca, quella della lampada sul tavolo). Ma in realtà tutto è fermo, l'attesa è scandita dal conteggio del denaro da parte del vecchio patriarca: un conto alla rovescia che riempie di pruriginosa inquietudine il vuoto lasciato dal figlio, presenza indiretta, tramite l'insistenza degli sguardi verso il fuori campo attivo. E così nulla accade se non il dispiegarsi della vita, in un mondo dominato dalle folli leggi del mercato, in cui l'uomo è sottomesso al denaro ("non ci sono soldi", dice sempre Candidinha, mentre osserva la cassetta piena di monete davanti a lei) e la povertà diventa una fatalità da cui è difficile difendersi. Ma all'improvviso João riappare, un'epifania fugace, giusto il tempo di scuotere gli animi, di contrapporre la potenza rivoluzionaria dell'Azione (lui, che guardava impavido l'orizzonte nell'inquadratura iniziale del film) alla Rassegnazione contagiosa del padre, che accusa di lasciare declinare la famiglia nella povertà, nonostante abbia vicino a sé tutto quel denaro. Perché anche qui, come in O Estranho Caso de Angélica (2010), “l'uomo è le sue circostanze” e il furto o un gesto inconsulto trovano giustificazione. In questo apologo moderno - attualissima rilettura della pièce di Raul Brãndao - dove tutto si ribalta, si relativizza. Dove verità e menzogna diventano due facce della stessa medaglia (per Gebo la verità è un dovere morale, ma la sua fede nell'onore lo costringe a mentire, fino alla fine) e l'enigma, il mistero su cui si regge l'intreccio, è una sorta di lungo “mac guffin”, che fa scivolare lo spettatore in un vortice di quesiti sulla natura umana e sulla società, con la levità e la sottile ironia che contraddistingue il maestro: anche la religione è un'illusione? Sembra alludere la scena in cui Sophie si scontra con un ubriaco, dopo aver guardato supplichevole l'immagine della Madonna. Non un esempio di “teatro filmato”, ma una regia in pieno stile De Oliveira, che riflette sul dispositivo tramite emblemi della visione ed effetti di surcadrage, ma ridotta ai minimi termini, disadorna, minimale. Un lavoro di sottrazione (prevalenza della camera fissa) che libera la parola dell'attore (un cast fenomenale) e riconduce il cinema alla sua purezza primigenia. Ombra e luce esso stesso, arte dell'illusione e specchio della vita insieme.