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Dal 2000 al 2009, hanno chiuso in Italia 615 cinema: solo in questo ultimo anno, sono state già 30 le strutture che hanno chiuso i battenti, per un totale di 50 schermi. Questo il declino messo in luce oggi a Roma nel “Focus - Cinema di città”, organizzato dall'Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinema) per discutere sulla situazione sempre più critica che si presenta oggi alle sale urbane, a fronte della continua crescita di nuovi e splendenti multiplex e megaplex. Come ha spiegato Luigi Grispello, vicepresidente vicario Anec, si tratta di quei “cinema tradizionali per lo più di piccole dimensioni, da uno a quattro schermi, e collocati per lo più nelle città, da cui il nome che le caratterizza”. Una realtà, che a ben vedere, costituisce una fetta importante del settore, “circa il 90% di tutte le strutture presenti in Italia”, con una distribuzione capillare sul territorio, fatta esclusione del Sud e delle Isole, dove l'esercizio risulta come noto più latitante. Dal punto di vista della programmazione, vi appartengono quasi tutte le sale d'essai e la scelta dei film è sempre improntata alla qualità, tanto che proprio qui il prodotto italiano registra ottime performance. Le presenze registrate in queste sale rappresentano circa il 40% del totale e, se nelle grandi città si riferiscono soprattutto a “spettatori adulti con maggiori strumenti culturali”, nei piccoli e medi centri “costituiscono spesso l'unica occasione di consumo culturale fuori dalle mura domestiche”. A fronte di una tale presenza, si registra però una situazione sempre più urgente di crisi, che Grispello riassume nell'effetto congiunto del “decremento dell'incasso medio e dell'aumento dei costi fissi caratteristici del settore, come i fitti e il costo del lavoro, che rende precari i bilanci anche delle sale più attive. Senza contare l'esaurimento dei fondi ministeriali”. Uno stato di cose che danneggia però tutto il sistema cinema, perché “il box office di queste sale è indispensabile per la vitalità del prodotto italiano”. C'è dunque bisogno di un “articolato e tempestivo piano di intervento” che coinvolga tutta la filiera cinematografica, che sfrutti l'occasione del digitale e che coinvolga anche i soggetti pubblici come le regioni - “che hanno la competenza e l'interesse” di valorizzare i cinema sul loro territorio - le province e i comuni, che tra “tassa sui rifiuti, affissioni e parcheggi, hanno tanti modi per rendersi utili a questa causa”. Chiamato in causa è però anche lo Stato centrale, chiamato dall'Anec a “portare avanti la riforma normativa del settore cinematografico, per ora bloccata al Senato”. Una richiesta pienamente condivisa da Riccardo Tozzi, Presidente dell'Associazione Produttori e vice dell'Anica: “E'necessario l'intervento dei poteri pubblici locali, più abbordabili e più aperti al dialogo con il tessuto delle associazioni, ma la risposta strutturale è la creazione del Centro Nazionale del Cinema”. La voce degli esercenti, però, si alza nei confronti della distribuzione attraverso l'intervento di Domenico Dinoia, presidente della Fice (Federazione Italiana Cinema d'Essai): “Il problema sono anche le condizioni di noleggio non accettabili, che impongono una programmazione inflessibile, o spesso costringono a minimi garantiti intollerabili e non richiesti ad altri esercenti. Anche il digitale rischia di rimanere così una risorsa alla portata dei grandi e un ulteriore svantaggio per le sale cittadine”.