PHOTO
Era dal 2010 – l’edizione della Mostra la 67ª, la penultima diretta da Marco Müller – che il nostro cinema non portava più di tre registi in gara per il Leone d’Oro. Di fatto, è la prima volta nel secondo mandato da direttore di Alberto Barbera (capitò solo nel 2000, nel secondo anno del primo mandato) che l’Italia riesce a piazzare quattro film nella sezione principale del Festival: The Leisure Seeker di Paolo Virzì (primo film girato e ambientato oltreoceano dal regista livornese, con Donald Sutherland e Helen Mirren), Ammore e malavita dei Manetti Bros. (che dopo Song’e Napule alzano il tiro e realizzano un’irresistibile crime story in salsa neomelodica), Hannah di Andrea Pallaoro (talento classe ’82 ormai emigrato negli States da anni, già conosciuto a livello internazionale grazie all’opera prima Medeas, vedi l’intervista a pag. 30) e Una famiglia di Sebastiano Riso, che chiede a Micaela Ramazzotti di vestire i panni di una donna, il cui disperato desiderio di famiglia la porterà ad affiancare il suo compagno in un progetto spaventoso.
Ma la truppa italiana non finisce qui: altri 4 in Orizzonti, dall’apertura di Susanna Nicchiarelli, (Nico, 1988) a La vita in comune di Edoardo Winspeare, passando per l’animazione Gatta Cenerentola (girato a otto mani, da Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone) e l’opera prima di Cosimo Gomez, Brutti e cattivi (titolo che chiaramente omaggia il capolavoro di Scola), incentrato sulle scorribande di un clan formato da disabili, con Claudio Santamaria e Marco D’Amore: dopo Lo chiamavano Jeeg Robot (lisciato due anni fa da Venezia) un altro piccolo, grande cult?
“Negli anni passati – ha spiegato Barbera – mi sono spesso lamentato delle troppe produzioni italiane, dove un eccesso di quantità limitava la qualità. Questa volta, invece, la qualità è tanta e per la prima volta dopo molto tempo ci siamo trovati di fronte a tanti film interessanti, soprattutto a molti giovani autori che provano a uscire dai soliti schemi, con modelli capaci di confrontarsi con il cinema internazionale. Un fenomeno molto importante, che coinvolge sia il cinema d’autore che quello di genere”.
Fenomeno che porta, se non abbiamo contato male, 11 lungometraggi, 9 documentari, 1 mediometraggio, 4 cortometraggi e una serie tv (Suburra, la prima produzione italiana targata Netflix), ad animare questa 74. Mostra, ancora una volta – almeno sulla carta, poi avremo modo di giudicarlo vedendo i film – capace di intercettare i flussi (sì, c’è anche Human Flow di Ai Weiwei, doc sulle migrazioni di cui già si dicono meraviglie…) della cinematografia internazionale, portando in concorso ben 15 (su 21) registi che mai avevano gareggiato per il Leone d’Oro.
Nelle pagine che seguono, dunque, proviamo ad “anticipare” queste tendenze, non dimenticando l’aspetto celebrativo che ogni grande Festival giustamente detiene e che quest’anno porta Venezia a consegnare il Leone d’Oro alla carriera a due mostri sacri come Robert Redford e Jane Fonda (pag. 40). Quest’ultima, da sempre in prima linea a battagliare per diritti civili e femminismo, sorta di nume tutelare della nutritissima truppa di dive (internazionali e italiane) che animeranno i giorni della Mostra: dalla presidente di giuria Annette Bening alle giurate Rebecca Hall, Jasmine Trinca e Anna Mouglalis, da Julianne Moore (Suburbicon di Clooney) a Jennifer Lawrence (Mother! di Aronofsky), da Penélope Cruz (Loving Pablo, Fuori Concorso) a Francis McDormand (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri di McDonagh), da Charlotte Rampling (“one woman show” per Hannah di Pallaoro) a Helen Mirren (The Leisure Seeker) e Micaela Ramazzotti (Una famiglia). Ne dimentichiamo tante altre, cercheremo di farci perdonare al Lido.