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“Ciò che più conta nel cinema è la longevità, la lunga via per raggiungere il successo. Bisogna essere sempre pronti a cambiare, ad inseguire un’idea, per non doversi tirare indietro quando ti propongono un ruolo importante. Per quanto riguarda la retrospettiva su di me, inaugurata qui a Roma, posso solo dire che il passato ritorna e che i miei film li ho rivisti di recente: sono sempre uguali”.
Se la ride Tom Hanks, il primo divo americano ospite dell’XI Festa del Cinema di Roma, e parla anche di politica: “Ogni quattro anni negli States arriva il circo, ogni quattro anni decidiamo chi deve essere il nostro prossimo leader. Il futuro è misterioso, incerto e ci troviamo davanti a un bivio. Non abbiamo mai avuto un candidato repubblicano così autoreferenziale e pieno di idee assurde come Donald Trump. Nella Storia, c’è sempre stato un personaggio che gli somigliasse, ma non lo abbiamo mai scelto per la presidenza. Non l’abbiamo mai fatto e non lo faremo adesso”.
Dalle presidenziali al cinema, Tom Hanks si racconta: “È sempre difficile rifiutare un ruolo, ma i miei personaggi li scelgo d’istinto. Accettare significa guadagnare, girare il mondo e conoscere persone nuove, quindi è più facile. Quando leggo una sceneggiatura che mi piace, scatta una sorta di egoismo: in questo film devo esserci io e nessun altro”. E come dargli torto, specialmente quando si riferisce a Forrest Gump o al più recente Il ponte delle spie. Nella sua carriera, ha interpretato pochissime volte il ruolo del cattivo . “Io come attore non accetto la parte del villain classico. Mi piacciono i film in cui la nemesi dell’eroe ha un ruolo di spessore e riesce a bucare lo schermo. L’antagonista di solito è un archetipo senza originalità. Non rifiuto a priori, ma ci deve essere una costruzione del personaggio degna di nota”.
Tom Hanks ha lavorato con Steven Spielberg per quattro volte e sembra che il capitano John Miller gli sia rimasto nel cuore: “Era un uomo terrorizzato, che combatteva in un inferno. Tanti sarebbero morti al suo posto. Non sapeva neanche cosa lo aspettava”. Poi passa a Prova a prendermi: “Io interpretavo lo Javert della situazione e Leonardo DiCaprio era una specie di Jean Valjean. Nel tempo molti agenti dell’Fbi mi hanno detto di aver amato il mio personaggio”. Anche The Terminal non può mancare: “L’idea era quella di rendere omaggio a mio suocero, che è scappato dalla Bulgaria perché pensava che l’America fosse il più grande Paese al mondo. Si è comprato una casa con le mance che prendeva facendo il barista”. E infine la carrellata si conclude con Il ponte delle spie: “Abbiamo voluto esaminare la storia del comunismo nell’Unione Sovietica. Quando ero un ragazzo, ero convinto che fossero i nemici. In questo film c’è una grande moralità. La vita è una serie interminabile di eventi e in qualche modo bisogna rimanere a galla”.
A Tom Hanks non manca il senso dell’umorismo e viene fuori anche il lato umano del divo. “Sono un nonno, ma i miei nipotini non hanno idea di come mi guadagni da vivere. Forse mi hanno riconosciuto in Toy Story. In questo momento preferirei stare con loro, perché sono molto più divertenti di Fellini (ride)”. Nei prossimi giorni, alla Festa del Cinema di Roma sarà proiettata l’intera filmografia di Tom Hanks. Gli sarà anche consegnato il Premio alla Carriera. Intanto l’attore statunitense è al cinema con Inferno, e a breve lo vedremo alle prese con un ammaraggio in Sully.