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“Alcuni film hanno forgiato il modo in cui le persone hanno ‘conosciuto’ l’autismo, penso a Rain Man, all’epoca innovativo, ma ha convinto la gente che una persona autistica fosse anche necessariamente un genio. Non è semplicemente così”.
Jerry Rothwell porta alla XV Festa del Cinema di Roma (sezione “Tutti ne parlano”) il documentario The Reason I Jump, ispirato all’omonimo libro di Naoki Higashida del 2005 (in Italia Il motivo per cui salto. La voce di un ragazzo dal silenzio dell'autismo, ed. Sperling e Kupfer, 2014), che raccoglie alcuni racconti brevi del giovane autore (all’epoca 13enne), autistico e muto, e le sue risposte alle domande più frequenti poste a persone affette dalla stessa malattia.
The Reason I Jump“Mio figlio Joss (tra i protagonisti del film, ndr) è autistico, e una volta letto il libro abbiamo capito alcuni comportamenti che prima non comprendevamo. Abbiamo capito che c’era molto di più sotto la superficie e volevamo che la cosa arrivasse ad un pubblico più ampio. Il libro ci apre una porta per aiutare la comprensione di questi mondi”, racconta il produttore Jeremy Dear.
Partendo dal libro di Naoki Higashida, il documentario segue le esperienze di soggetti autistici non parlanti in giro per il mondo, dall’India all’Inghilterra, dagli Stati Uniti alla Sierra Leone: “Sebbene nessun film possa replicare l'esperienza umana, il mio augurio è che The Reason I Jump possa incoraggiare il pubblico a pensare all'autismo dall'interno e possa veicolare un messaggio di cambiamento perché il mondo diventi un luogo del tutto inclusivo”, spiega Rothwell, che aggiunge: “Come potevamo restituire l’individualità di ognuna delle persone che abbiamo seguito? Il libro, le parole di Naoki Higashida diventano allora una sorta di guida. Nel libro c’è un movimento molto forte, che parte da un rifiuto iniziale ad una piena accettazione di sé, che porta l’autore a dire preferisco essere così, autistico, che essere come voi”.
Questo perché “purtroppo tendiamo a giudicare le persone in base al loro modo di comunicare. Noi neurotipici siamo assolutisti: se una persona non riesce a parlare allora significa che non ha nulla da dare. È un problema di comunicazione, il più delle volte. E quello che vediamo nel film, i comportamenti di mio figlio, ad esempio, sono invece il segno di una volontà molto forte di comunicare”, dice ancora il produttore, Dear, che conclude: “Un altro mito da combattere è quello relativo al fatto che gli autistici vogliano restare soli, quando in realtà non è affatto così. Interpretiamo male i loro comportamenti, a loro piace la compagnia umana, Joss si è divertito tantissimo con la troupe intorno”.
The Reason I JumpPer quanto riguarda lo stigma sociale che le persone affette da autismo sono costrette a subire, invece, Dear dice: “Rispetto a 20 anni fa c’è stato un grande progresso, ma in Inghilterra ci sono pochi luoghi dove potrei far vivere mio figlio in maniera sicura. Spero questo film possa aiutare la gente ad avere una percezione diversa sull’autismo”.
“In passato – conclude Rothwell – i soggetti autistici non parlanti non erano considerati nemmeno esseri umani: ostracizzati all'interno delle comunità, confinati negli istituti e, in alcune epoche e luoghi, anche sterminati in massa. Ma le descrizioni di Naoki del vortice di sentimenti, impulsi e ricordi che hanno influenzato ogni sua azione ci portano, come scrive David Mitchell (anche lui presente nel doc, ndr) nella sua introduzione al romanzo, a capire che «anche all'interno del corpo autistico c'è una mente curiosa, sottile e complessa, come negli altri corpi»”.