PHOTO
“Ero adolescente quando l’ho scritto e penso che all’epoca avevo molta voglia di sfuggire alla vita quotidiana. Ho aspettato di sentirmi legittimata a farlo, avevo voglia di recitare e per legittimare questo desiderio ho pensato fosse giusto scrivere un film”.
Suzanne Lindon, figlia di Vincent e Sandrine Kiberlaine, esordisce dietro la macchina da presa a vent’anni. Lo fa con Seize printemps (16 anni) – che il titolo internazionale trasforma in Spring Blossom (Fiore di primavera), film che la Festa di Roma ospita nella sezione Tutti ne parlano, tra i tanti con il label del Festival di Cannes, già presentato anche a Toronto e a San Sebastián.
Suzanne ha 16 anni, in famiglia tutto bene, a scuola pure, ma la vita di tutti i giorni non la entusiasma più, i compagni la annoiano, alle feste non si diverte: nel breve tragitto casa-scuola, però, ogni giorno vede un uomo (Arnaud Valois). È un attore che ogni sera porta in scena una pièce e ogni giorno è lì per le prove: i loro sguardi si incrociano, fino a che lei non trova il coraggio di presentarsi e lui – nonostante abbia vent’anni di più – si concede al gioco dell'innamoramento.
“I due personaggi principali dovevano avere in comune la noia, la routine, lei studentessa con i soliti orari, i soliti compagni, le solite giornate, lui attore di teatro che ogni giorno prova le stesse battute, nello stesso luogo, andando in scena ogni sera con la stessa pièce”, spiega la Lindon, che aggiunge: “In fondo volevo fare un film sulla noia e sul fatto di annoiarsi nella vita di tutti i giorni, eliminando questa noia innamorandosi”.
Ma la liaison messa in scena è più platonica e idealizzata che realmente “consumata”: “L’elemento del pudore per me era molto importante, perché penso che quando si incontrano veramente le persone ci si può sentir bene con loro senza necessariamente doverlo dimostrare in maniera fisica – dice ancora la regista/attrice –. Con i social oggi diventa tutto molto rapido, ci si conosce prima di incontrarci, qui invece due persone che si incontrano, le loro solitudini, le loro noie, era importante ci fossero delle tappe, e data la differenza d’età per me doveva essere qualcosa di molto rispettoso, attraverso gesti molto timidi. Credo sia importante mostrare una gioventù che non brucia le tappe, e non volevo ci fosse un rapporto di forza, ma soltanto rispetto e tenerezza. È più un sentire che fare. E volevo rappresentare questa cosa facendoli danzare: un modo in cui trasmetto il loro sentire comune ma senza toccarsi”.
Per quanto riguarda il fatto di dirigere e ricevere nello stesso tempo, Suzanne Lindon svela che “un po’ di paura c’era. Ma era qualcosa che volevo fare sin dall’inizio, da quando ho iniziato a scrivere il film. Abbiamo avuto pochissimo tempo, pochissimi soldi, dovevamo procedere velocemente e io facevo tutto insieme, ero molto sicura di ciò che volevo riprendere. Poi sul set il tempo era talmente poco che mi sentivo in pericolo e quand’è così divento molto istintiva e questa istintività la liberavo recitando, rendendo meno dura la lavorazione”.