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“Michelangelo e la sua vita sono molto conosciuti. Proprio per questo, fare un film su di lui non è stato semplice, perché non potevo mentire. Quindi ho dovuto trovare alcuni periodi di quell’esistenza sui quali costruire il film ma senza la volontà di realizzare una biografia, che il più delle volte ritengo essere esercizio noioso. La scintilla, l’elemento scatenante è stato scoprire che Michelangelo conoscesse La Divina Commedia a memoria: mi sono domandato allora in che modo un artista come Dante avrebbe potuto raccontare un genio come Michelangelo, magari senza seguire uno schema ordinato cronologicamente, ma mettendo insieme vari momenti caotici della sua vita”.
Andrei Konchalovsky presenta la sua ultima fatica, Il peccato, Evento Speciale di Chiusura alla XIV Festa del Cinema, poi nelle sale dal 28 novembre con 01 distribution.
Andrei Konchalovsky - Foto Karen Di PaolaProdotto dalla Fondazione Andrei Konchalovsky per il sostegno al Cinema e alle Arti Sceniche e Jean Vigo Italia con Rai Cinema, il film è una co-produzione russo-italiana realizzato grazie ad un consistente contributo del Ministero della Cultura della Federazione Russa, della Fondazione di beneficenza per l’Arte, la Scienza e lo Sport e di Alisher Usmanov – produttore generale, insignito dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana – e con la partecipazione di Pervyi Kanal (Primo Canale, Russia).
Interamente girato in Italia per 14 settimane, Il peccato ripercorre alcuni dei momenti della vita di Michelangelo, fuori dai canoni del biopic vero e proprio, ma seguendo piuttosto l’idea di una “visione”: “Nel senso medievale del termine, però. Unita alla fatica, alla terribile concretezza dell’essere artista”, spiega il regista russo (Leone d’Argento a Venezia nel 2016 con Paradise e nel 2014 con Le notti bianche del postino), anche sceneggiatore del film insieme ad Elena Kiseleva.
Il regista sul set de Il peccato“Sapevo di essere sotto lo sguardo scrupoloso dei critici e dei profondi conoscitori della vita di Michelangelo e questo non è semplicemente un film su un scultore, piuttosto un’opera che parla di un essere umano molto nervoso, difficile, egoista, ma anche molto tenero che ha vissuto nel Rinascimento. E che, guarda caso, è stato anche un genio”, dice ancora Konchalovsky, che per il ruolo di Buonarroti ha scelto Alberto Testone.
“Per scegliere il protagonista abbiamo fatto un lungo casting, mi proponevano volti di attori italiani famosissimi ma io cercavo piuttosto qualcuno che somigliasse a Michelangelo. Quindi – racconta il regista – ho detto alla casting director di trovarmi un attore che somigliasse a Pasolini, che a sua volta somigliava tantissimo all’artista ad eccezione del naso rotto. E Alberto, che in passato aveva interpretato proprio Pasolini in un precedente film, secondo me ha un carattere che per quella che è la mia visione è molto simile a quello di Michelangelo”.
“È stato un percorso che mi ha insegnato moltissimo – dice l’attore –. Un’esperienza magica, che non dimenticherò mai. Essere Michelangelo, trovarmi in quei luoghi, dove lui sceglieva il marmo per poi realizzare quei capolavori, è stato qualcosa di unico. Ogni giorno non sapevi mai cosa succedeva, ma quello che mi è rimasto più impresso è che Konchalovksy suggeriva di volta in volta di distruggere ogni cosa per poi ricominciare daccapo”.
Alberto Testone in una scena del filmSuggerimento che sembra incastrarsi alla perfezione con la cifra stilistica, ambientale, emotiva del film stesso, che ci riporta al XVI secolo “ma senza la visione edulcorata a cui vari film o sceneggiati tv ci hanno abituato”, dice il regista, che spiega: “Si ha quasi sempre la percezione che all’epoca fossero tutti belli e profumati, ma in realtà uno dei rumori che si sentiva con più frequenza per le strade era quello degli zoccoli dei cavalli e nell’aria era forte l’odore del loro sterco. Abbiamo provato a rendere anche dal punto di vista olfattivo quel periodo, senza però rendere esotico il tutto ma cercando di restituire ogni dettaglio nella maniera più naturale possibile”.
Il tutto imperniato su una volontà naturalista anche per quello che attiene la scelta dei vari personaggi che popolano il film: “Ancora oggi sopravvive la tradizione del neorealismo, con gli incredibili risultati raggiunti dai vari Rossellini o De Sica, che prendevano gente dalla strada realizzando poi veri e propri miracoli. Anche qui i volti sono più convincenti, proprio perché naturali. I cavatori, che non è possibile sostituire con delle semplici comparse, non li trovate negli elenchi dei casting director. Questo per me era fondamentale, proprio perché da non italiano non volevo che il film suonasse falso”, dice ancora Konchalovsky, che sull’equilibrio dell’opera spiega: “Tutto ruota intorno a tre personaggi. Il gigantesco blocco di marmo, i carraresi e Michelangelo, per me sono tutti allo stesso livello e la cosa importante era trovare il giusto equilibrio tra loro”.
Quello che emerge con forza, dunque, oltre all’essenza del carattere di Michelangelo (“estremamente affascinante, difficile, insopportabile, avido, uno che fa i trucchetti, che si muove all’italiana, per vie traverse, ma è bellissimo tutto questo, perché è umano”), sono anche “i sapori e gli odori dell’epoca in cui è vissuto, sanguinosa e crudele, ma piena di ispirazione e di bellezza”, prosegue Konchalovsky, che aggiunge: “La poetica del film nasce dall’intreccio tra la barbarie, che non intende ritirarsi dalla scena, e la straordinaria capacità dell’occhio umano di vedere la bellezza intramontabile del mondo e dell’uomo da trasmettere alle generazioni che verranno”.
Anche se, prosegue il regista, “purtroppo oggi viviamo in un’epoca dove la memoria muore, sparisce: non c’è niente di contemporaneo nella grande arte, eccetto i sentimenti, le reazioni umane che ancora oggi è in grado di far scaturire”.
Il peccatoE l’artista, ancora oggi, “è un servitore. Anche io, quando ero ancora in Unione Sovietica, proprio come Michelangelo lavoravo su commissione – racconta Konchalovsky –. E non è detto che la libertà sia elemento necessario affinché vengano realizzati capolavori, anzi. Michelangelo cercava l’opportunità, la possibilità di creare. Gli artisti non sono liberi, sono servitori, sono al servizio di qualcosa, di qualcuno”.