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(Cinematografo.it/Adnkronos) - "Ritenevo necessario fare emergere questo tema e quindi lo spunto nasce dalla cronaca, dallo scandalo del mercato nero dei bambini, che abbiamo potuto approfondire anche grazie alle intercettazioni forniteci dal procuratore Capasso. Ma l'adozione è la premessa del film non è la sostanza". Parla così Sebastiano Riso del suo Una famiglia, il film che porta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e che è stato accolto un po' tiepidamente nelle anteprime per la stampa.
Foto Karen Di PaolaIl film, che uscirà nelle sale il 28 settembre distribuito da Bim, tratta il tema controverso dell'utero in affitto, calato però in clima di morboso e di interdipendenza all'interno di una coppia. E il regista ci tiene a sottolinearlo: "Non volevamo fare solo un film sull'utero in affitto, sulle madri surrogate ma su quanto le diverse famiglie coinvolte nella storia fossero davvero famiglie. Noi volevamo raccontare una coppia legata da una serie di dipendenze, da un rapporto morboso". La coppia in questione è quella formata dai due protagonisti Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel, uniti dal piano criminale di concepire bambini per venderli. "Il lavoro che abbiamo fatto con gli sceneggiatori è stato complesso - aggiunge Riso - volevamo raccontare anche l'Italia di oggi, in cui l'adozione è difficilissima e lunghissima per le coppie eterosessuali e impossibile per gli omosessuali. E questo crea richiesta e mercato nero", sottolinea il regista.
Micaela Ramazzotti"Con Sebastiano - prosegue - siamo molti legati, abbiamo fatto insieme il suo primo film 'Più buio di mezzanotte' e non ci siamo più persi di vista. Lui ha un'entusiasmo verso di me che mi commuove. Lui mi fa sentire come Meryl Streep, mi esalta l'autostima. La sua forza mi dà forza, il suo coraggio mi fa diventare coraggiosa, la sua determinazione mi rende determinata, la sua spericolatezza mi rende spericolata, la sua spudoratezza mi fa diventare spudorata. Credo che sia il regista più libero con cui ho lavorato. Lui ha colto una cosa che avevo voglia di portare al cinema: il mio lato selvaggio".
Mentre Patrick Bruel confessa di essersi sentito inizialmente titubante ma di aver poi aderito con entusiasmo: "È la prima volta che vengo contattato per un personaggio così dark. Così mi sono chiesto perché io e perché questo tema. Ma Sebastiano mi ha spiegato le sue ragioni e la sua urgenza ed è stato convincente. E così ho accettato la sfida. Ho girato in italiano ed avevo paura di incidere sul budget contenuto del film: per fortuna ho avuto una coach straordinaria che mi ha evitato di dovermi autodoppiare. Mi sono lanciato e sono rimasto commosso dal risultato. Questo è un film che veicola valori importanti e che io sottoscrivo totalmente", conclude l'attore.
Nel finale del film, una coppia omosessuale rifiuta il bambino 'ordinato' perché malato. I giornalisti chiedono se anche questo nasca da un fatto di cronaca e se non pensi che questo creerà polemiche con la comunità omosessuale. E lui risponde: "Questa storia non nasce da un fatto reale. Ma abbiamo voluto inserirla perché è un fatto molto simbolico e di grande attualità. Noi non abbiamo voluto trattare la coppia omosessuale in maniera diversa. Abbiamo posto un dilemma a cui ci si può trovare davanti. Il personaggio interpretato da Ennio Fantastichini, che è il più maturo della coppia omosex dice una frase in realtà di grande umanità: 'Alla mia età non mi riprenderei da un dolore così forte'. Su tutte queste aspiranti famiglie noi non diamo giudizi. Ma il film è appunto una riflessione su Una famiglia, di qualunque tipo essa sia".