PHOTO
#byNWR.
Già dal precedente The Neon Demon (in concorso a Cannes nel 2016) si era intuito il percorso definitivo intrapreso da Nicolas Winding Refn. Regista danese autore di straordinari cult come Valhalla Rising e Bronson, definitivamente sdoganato a livello mondiale con Drive, la cui deriva immediata fu il non riuscito Solo Dio perdona e, appunto, il successivo The Neon Demon.
Regista che si è fatto hashtag (#byNWR), Refn porta fuori concorso sulla Croisette la sua ultima fatica, Too Old to Die Young, serie tv creata insieme a Ed Brubaker in 10 episodi che dal 14 giugno sarà disponibile su Prime Video.
"Un lungometraggio lungo 16 ore", aveva anticipato Refn, che qui a Cannes - stravolgendo le recenti logiche di preview per quello che riguarda il prodotto seriale - si presenta non con il pilot ma con gli episodi 4 e 5.
Too Old to Die YoungIl cuore della narrazione, verrebbe da pensare. Forse, ma tale suggestione è semplicemente frutto di preconcetto e quindi non attendibile, i due episodi in cui accadono più "cose". E in due ore e diciotto minuti non sono poi molte.
Conturbante e inquietante, dilatato oltre ogni confine possibile e immaginabile per quello che attiene gli attuali ritmi "televisivi", Too Old to Die Young - che non può non far pensare al recente ritorno di Lynch con Twin Peaks 3, non foss'altro per la componente legata ad una visione non "tradizionale" - segue le gesta di Martin, interpretato da Miles Teller, poliziotto di giorno, killer di notte. "Un personaggio che non sa molto e a muoverlo è più la curiosità che il trovare risposte vere e proprie. È un personaggio pieno di contraddizioni", dice Refn.
Le sue prede sono la feccia della società, pervertiti, violenti, gente che insomma "merita" di scomparire dalla faccia della terra. Nell'economia del racconto, centrali dovrebbero essere anche i personaggi interpretati da John Hawkes e Jena Malone.
Il meccanismo - i perché e i per come - saranno forse più chiari a visione completa. Al momento, resta l'oggettiva suggestione di una messa in scena che la fotografia di Darius Khondji e Diego García e le musiche del solito Cliff Martinez contribuiscono a caratterizzare in maniera netta e riconoscibile.
Ma, allo stesso tempo, si rimane dubbiosi sulle reali potenzialità di un prodotto la cui destinazione sarà lo streaming, che inevitabilmente ne penalizzerà la resa in termini di profondità e sonoro.
"Non è uno show televisivo", conferma lo stesso Refn qui a Cannes, spiegando che alla base di tutto c'era la volontà di "creare uno spettacolo in cui le donne fossero la speranza, e tutti gli uomini venissero demoliti". Sul pericolo spoiler, infine, risponde sornione: "Non è mica il rapporto Mueller", alludendo al recente documento USA sull'indagine relativa alle interferenze russe nella campagna elettorale statunitense.