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“Non sono mai stato amante della montagna, però anche io ne avevo una da scalare. Questo non era un film sulla montagna. Ma sull’ambizione di ciascuno di noi”. Se cercavate il vostro Everest, una metafora che valesse anche per voi che non avete mai scalato nemmeno una collina, eccola nelle parole di Baltasar Kormakur. Il regista islandese e i suoi formidabili attori – Jason Clarke, Josh Brolin, Jake Gyllenhaal, Emily Watson e John Hawkes – sono i primi grandi nomi a presenziare la Mostra, che con Everest inaugura stasera la 72ma edizione.
Ispirato ai tragici fatti del 1996, quando due spedizioni commerciali neozelandesi vennero sorprese da una terribile bufera mentre erano impegnate a scalare la vetta della montagna, Everest tocca diverse corde emotive e temi differenti, come la voglia di andare oltre i propri limiti (l’ambizione di cui parla Kormakur), la commercializzazione becera dell’alpinismo, il potere della natura.
“Dovevo bilanciare più cose – rivela Kormakur – come il rispetto della verità dei fatti e la dimensione spettacolare della scalata, la verità dei personaggi e la furia della montagna. Doveva essere un racconto insieme intimo ed epico”.
Di responsabilità morale parla Jake Gyllenhaal, che nel film interpreta Scott Fischer, la guida della Mountain Madness che perirà prima di poter ridiscendere al Campo Base: “Quando porti al cinema qualcosa che è realmente accaduto – spiega Gyllenhaal – hai un’enorme responsabilità. Io sentivo il peso del personaggio. I figli di Scott erano preoccupati del modo in cui il loro padre sarebbe venuto sul grande schermo. Mi sono seduto con loro sul divano a parlare ore e ore di Scott. Cercavo non solo i suoi tratti idiosincratici ma la sua essenza”.
“E’ una responsabilità troppo grande per non doverla allontanare da te quando lavori – replica Josh Brolin, nel film uno dei clienti della spedizione, il texano Beck Weathers -. Devi fare il tuo lavoro il più onestamente possibile e sperare che chi lo vedrà e ha vissuto realmente quell’esperienza non ci rimanga male”.
“Intelligenza e compassione”. Sono le due qualità che Jason Clarke attribuisce invece a Rob Hall, la sfortunata guida dell’Adventure Consultants che è il centro del racconto: “Rob non ragionava solo sulla base dei soldi. Quando Doug, stremato e in pericolo, gli chiede di aiutarlo a raggiungere la vetta che già una volta aveva mancato non si tira indietro e lo porta fin lassù. Rob era un persona che amava vedere gli altri realizzare i propri sogni”. Clarke, con Everest, ne ha realizzato qualcuno dei suoi: “Poter lavorare al fianco dei vera sherpa che hanno conosciuto Rob, fare delle piccole scalate con loro, è stato un privilegio e un’esperienza indimenticabile”.
“Fortunata” è come si è sentita anche Emily Watson. Nel film è Helen, l’aiutante di Rob al Campo Base: “Con Helen ci siamo sentiti spesso su Skype durante le riprese, è stata molto generosa. Mi ha permesso di capre meglio che cosa è accaduto lassù in quei giorni, aveva le registrazioni delle ultime conversazioni con Rob. Quasi tutto quello che dico nel film è tratto dai dialoghi veri. Sono queste le storie che mi piacciono, quelle che tratte dalla realtà aiutano a dare a quella realtà un senso”.
Everest uscirà nelle sale italiane il prossimo 24 settembre, distribuito da Universal.