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Casal Palocco. Un posto tranquillo, a metà strada tra Roma e il mare. Un’oasi. Ma non per i fratelli di Tor Bella Monaca Fabio e Damiano D’Innocenzo, che ne fanno il luogo perfetto per raccontare le inquietudini nascoste della piccola borghesia.
L’ umore può esplodere in qualsiasi momento. A provocare la deflagrazione sono i bambini. Favolacce, il secondo film alla Berlinale dei fratelli D'Innocenzo dopo La terra dell’abbastanza, questa volta presentato in concorso, con Elio Germano e Barbara Chichiarelli è un'opera selvaggia e incredibilmente matura.
FavolacceUna favola nera, ambientata in un mondo apparentemente normale dove silente cova il sadismo dei padri e la rabbia dei figli, diligenti e disperati.
“I protagonisti sono bambini di dodici anni”, affermano i due fratelli registi. Per Fabio, "i bambini di Favolacce siamo noi da piccoli, ci sono tanti ricordi spezzati della nostra infanzia che riappaiono in modo lieve e sognante. Ma il film non è autobiografico. Nessuno di noi ha avuto un’infanzia meravigliosa, perché in quegli anni non si conoscono le regole del gioco. Avevamo scritto questa storia a 19 anni, e ci siamo detti che dovevamo girarla ora che stiamo diventando vecchi, dopo sarebbe stato tardi".
“Non volevamo uno sguardo alla Haneke”, precisa il fratello Damiano. “Da bambino hai una percezione straordinariamente acuta e perspicace, vedi cose tremende e ti dici che quando sarai grande sarà tutto diverso, ma non è così. Era il momento giusto per fare Favolacce, perché adesso siamo in perfetto equilibrio tra l’essere bambini e adulti”.
Il film si discosta tantissimo dal primo, indaga il ceto sociale più comune, la piccola media borghesia”, spiegano. Il contesto sociale però è in secondo piano. “Al centro ci sono i codici di segretezza e debolezze umane all’interno del nucleo familiare, del nascondere tutto dietro una porta chiusa a chiave. Il malessere è ovunque, è bello indagarlo in posti insospettabili”.
Dalla sezione Panorama al concorso di Berlino è un bel passo: “Siamo abituati a passare dal retro e a scavalcare. Ci sentiamo imbarazzati". Il tema della sessualità percorre il racconto. Concorda Damiano: “Volevamo che si sentisse il tanfo della sessualità. Quando uno è bambino gli adulti hanno queste uscite gratuite, oscene, ma anche i ragazzini hanno pensieri erotici. Due riferimenti: A mia sorella! di Catherine Breillat e Zona di guerra di Tim Roth. Abbiamo cercato di ricordare cosa si prova da bambini quando hai a che fare con una donna, che all’inizio non ti attira perché sei asessuato, poi da un giorno all’altro senti che c’è qualcosa che vorresti. Ti ammalia, ti fa vergognare e arrossire. C’è la purezza dei bambini che provano a fingere una grandissima consapevolezza. Per gli adulti invece è pornografia, quindi il contrario del desiderio".
“È difficile trovare parole sufficientemente efficaci per descrivere i temi che volevamo affrontare nel nostro secondo progetto. Anche per questo abbiamo scelto il medium dell’audiovisivo per raccontare questa storia invece di fare affidamento solo sulla scrittura. La scrittura è troppo precisa e inequivocabile. Non era abbastanza per questa storia. C’è molto silenzio nel nostro film e quando i personaggi parlano, paradossalmente, possono comunicare di meno".
Il disagio e la solitudine trovano in questa storia il loro luogo all’interno delle famiglie. “La casa – quello che era considerato un nido, anche se forse teneramente limitante – è ora un centro di intolleranza, freddezza e ansia. È sufficiente prendere in considerazione le statistiche degli omicidi domestici per realizzare che questa è spesso la realtà".